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Perché il Lybian Political Dialogue Forum potrebbe aumentare i problemi invece di risolverli

Perché il Forum potrebbe aumentare i problemi invece di creare pace e ordine

di N. E.

Il 9 novembre ha preso il via il Libyan Political Dialogue Forum (LPDF). Il forum aveva la pretesa di essere la piattaforma per l’avvenuta riconciliazione del popolo libico, attraverso la costruzione di un nuovo governo legittimo riconosciuto da tutti. In realtà, è molto probabile che l’iniziativa fallisca. Infatti, il governo potrebbe essere composto da personalità invise tanto alle fazioni interne alla Libia quanto ai vari attori esterni. Questo potrebbe precipitare nuovamente il paese nel caos.

Gli obiettivi del forum

Il principale obiettivo del forum di Tunisi è estremamente pragmatico: favorire la discussione volta ad individuare i candidati alle posizioni apicali del coniglio presidenziale e del nuovo governo nazionale. Due organismi di transizione da costituire in vista delle libere elezioni che dovrebbero tenersi entro e non oltre i prossimi diciotto mesi. Inoltre, i settantacinque delegati del forum hanno anche il compito di redigere il documento politico-programmatico finale. Fondamentale per il successo dell’iniziativa, tuttavia, è chi occuperà le posizioni chiave dei nuovi organismi governativi.

In quanto, dietro alle personalità incaricate si muovono inevitabilmente sia fazioni politiche interne, sia potenze straniere che in esse trovano la propria rappresentanza e garanzia di tutela dei propri interessi. Favorire un gruppo piuttosto che un altro, evidentemente, determinerebbe uno squilibrio. In questo momento, dunque, quanto più le personalità che andranno a occupare le posizioni chiave all’interno del governo appariranno neutrali, tanto più sarà realisticamente possibile mantenere in vita il processo di pace in Libia.

Un metodo non trasparente

Apparentemente, il forum sembrerebbe essere stato costruito come una piattaforma aperta e trasparente, in grado di dare ampia rappresentanza a tutte le fazioni in campo e, soprattutto, ai poliedrici interessi presenti nella società libica.

In realtà, il negoziato è interamente gestito dal capo della missione Onu in Libia (UNSMIL) Stephanie Williams, che ha personalmente selezionato la stragrande maggioranza dei delegati (49 su 75, ovvero quelli che in questo momento sono effettivamente impegnati nel negoziato). In questo momento cresce il malcontento per la segretezza delle procedure adottate dai funzionari dell’UNSMIL e per l’evidente manipolazione delle procedure negoziali. La questione di fondo è: in che modo sono stati scelti i partecipanti? In che misura le fazioni e i partiti libici sono stati coinvolti nella selezione? A queste domande dell’opinione pubblica mondiale non viene data risposta e tutto rimane un mistero. Emergono, dunque, forti dubbi sull’effettiva imparzialità del metodo e dell’approccio messo in campo dagli organizzatori del forum.

Contestualmente, le trattative vengono condotte completamente a porte chiuse, con scarse informazioni ufficiali fatte filtrare all’esterno, e questo nonostante le discussioni che si stanno tenendo a Tunisi siano decisive per il futuro della Libia e dei paesi confinanti. In sostanza, le Nazioni Unite non rendono pubbliche le informazioni e le uniche notizie disponibili vengono fornite dalle dichiarazioni che singoli delegati rilasciano agli organi di stampa. Non esistono informazioni chiare e precise sui dettagli del trattato che si sta redigendo: come e quando si terranno le elezioni, quali funzioni saranno attribuite alle varie cariche governative, ecc… L’accordo finale, insomma, sembra essere considerato una mera formalità, mentre le vere decisioni restano nell’ombra. Non sorprende, pertanto, che questo clima di segretezza stia creando sempre maggiore sfiducia nei confronti del forum, sia tra i libici che negli osservatori stranieri. Il problema principale resta il fatto che la società libica, complessa e sfaccettata, continua ad essere privata della possibilità di decidere del proprio futuro, di fatto nelle mani dll’ex incaricata d’affari Usa in Libia Stephanie Williams.

Fughe di notizie

È presumibile che proprio la consapevolezza delle criticità dei metodi utilizzati abbia indotto gli organizzatori del forum a mantenere i lavori nella massima segretezza. Ma proprio la mancanza di notizie ufficiali ha provocato continue fughe di notizie e speculazioni sulle decisioni che si andavano delineando. Le manipolazioni e le contraffazioni delle bozze dei documenti ufficiali si sono susseguite così numerose da costringere gli stessi funzionari dell’UNSMIL a diffondere, il 13 novembre, un comunicato ufficiale che dichiarava come falso un documento circolato sui social network. In realtà è possibile che gli stessi delegati contrari alle conclusioni che si andavano prendendo abbiano favorito la circolazione pubblica della bozza di accordo proprio allo scopo di affossarlo.

In ogni caso, continuano ad essere poco chiare questioni importanti come l’ubicazione dei futuri organi di governo, sebbene qualche indicazione possa essere intuita proprio dalle notizie non ufficiali trapelate. Infatti, nel caso in cui la bozza di documento finale non risultasse completamente falsa, i ministeri e le autorità governative continuerebbero ad avere sede a Tripoli e non a Sirte come si era ipotizzato nella fase preparatoria del negoziato. Questa città, infatti, sarebbe assai più adatta a un corretto funzionamento dell’attività amministrativa, sia per la sua posizione geografica, esattamente al confine tra Tripolitania e Cirenaica, sia per la scarsa presenza di elementi legati a organizzazioni fondamentaliste islamiche (le quali controllano invece numerosi quartieri della capitale), che rappresentano una costante minaccia alla pacificazione del paese.

Con gli islamisti al governo si torna alla guerra

Qualora venissero eletti elementi islamisti radicali – ai quali gli stati uniti sembrano voler dare il loro sostegno – alle principali cariche del nuovo governo di transizione, tripoli diventerebbe seduta stante il centro propulsore del fondamentalismo in nord africa. Purtroppo, uno dei candidati alla carica di primo ministro è proprio Fathi Bashagha, uomo vicino ai Fratelli Musulmani, ministro del Governo di Accordo Nazionale (Gna), accusato di crimini di guerra, tratta di esseri umani, e torture. Difficilmente un personaggio del genere potrebbe garantire pace e stabilità alla Libia, al contrario, trascinerebbe rapidamente il paese in un nuovo conflitto contro il nemico di sempre, il generale Khalifa Haftar, ma anche contro le milizie tripoline nemiche di Bashagha. Assai più accettabili sarebbero soluzioni come riaffidare l’incarico di primo ministro all’attuale leader del gna, Fayez al-Sarraj (percepito in questa fase come più neutrale) o al vice premier Ahmed Maiteeq, uomo d’affari pragmatico e di orientamento laico. Cosa potrebbero produrre invece le simpatie dimostrate dai dirigenti americani della missione Onu verso gli esponenti della Fratellanza Musulmana? Potrebbero solo inasprire ulteriormente le divisioni e la frammentazione del quadro politico libico, rendendo ancora più profondo il solco che separa la Libia orientale da quella occidentale, le fazioni laiche da quella maggiormente caratterizzate da un orientamento maggiormente religioso. In sostanza, il forum di Tunisi inizialmente immaginato come un’assise in grado di portare la Libia alla riunificazione e alla pacificazione rischi di determinare un esito diametralmete opposto sia all’interno che all’esterno del paese. Coloro che vedono come fumo negli occhi che esponenti dei fratelli musulmani assurgano al potere reagirebbero inevitabilmente con tutte le loro forze a una soluzione di questo tipo. Un’ulteriore destabilizzazione della Libia avrebbe ripercussioni sull’intera area mediterranea, non solo sul Nord Africa, ma anche sull’Europa. Meglio sarebbe insomma permettere agli stessi libici di lavorare a una soluzione di compromesso piuttosto che affidare la guida del negoziato alle improvvide mani di manager americani estranei alle logiche politiche del paese.

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