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Così Tripoli finisce nelle mani dei fondamentalisti islamici

Negli ultimi giorni sono giunte numerose segnalazioni circa un insolito attivismo da parte del gruppo islamista radicale RADA (Special Deterrence Forces). Diversi profili di utenti libici di Twitter hanno riferito che “per ordine del terrorista Abdul Rauf Kara, le Special Deterrence Forces hanno istituito diversi checkpoint a Tripoli”. Molti in Libia ritengono che Kara stia pianificando un’iniziativa su vasta scala per tentare addirittura di assumere il potere nella capitale.

Sembra, tra l’altro, che la sera del 27 novembre un convoglio armato delle Special Deterrence Forces sia stato avvistato per le strade di Tripoli.

Nello stesso giorno, in città, sono stati segnalati scontri tra la milizia RADA e uomini della Brigata Al-Samud scaturiti da contenziosi di natura economica.

Lotta per il potere

Le manovre militari segnalate a Tripoli non hanno nulla a che fare con possibili minacce esterne. Dallo scorso agosto, infatti, vige in Libia il cessate il fuoco. Le truppe del generale Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito Nazionale Libico (LNA), non hanno intrapreso alcuna nuova offensiva contro la Tripolitania. Questi movimenti e gli scontri armati si spiegano solo supponendo che nella capitale stia prendendo il via una nuova lotta per il potere e per l’accaparramento delle risorse finanziarie tra le varie milizie che vi operano.

All’inizio di novembre si è tenuto a Tunisi, sotto l’egida delle Nazioni Unite, il Libyan Political Dialog Forum (LPDF), allo scopo di costituire un nuovo governo di transizione. Sebbene il Forum non sia riuscito a individuare una nuova leadership e non sia stato in grado di definire nemmeno le candidature degli aspiranti alle cariche di ministro, di primo ministro e di membro del Consiglio Presidenziale, il negoziato continua in formato virtuale. Ciò significa che la scelta dei componenti del governo che dovrà portare il paese alle elezioni (che dovrebbero tenersi l’anno prossimo) è ancora all’ordine del giorno.

Uno dei principali aspiranti alla carica di premier è l’attuale ministro degli Interni del Governo di Accordo Nazionale (GNA) Fathi Bashagha. Questi è da poco rientrato dalla Francia: una tappa importante per la sua “campagna elettorale”, secondo gli esperti.

E mentre Bashagha volava a Parigi, i suoi sostenitori in Libia si davano un gran da fare: i 35 delegati al Forum che a Tunisi si erano espressi a favore della sua candidatura a primo ministro hanno recentemente proposto un sistema di voto da remoto tramite Zoom per superare l’impasse. Molti hanno criticato una simile procedura in quanto facilmente manipolabile.

Mettendo insieme i vari frammenti del mosaico, il quadro che emerge risulta piuttosto chiaro: da una parte l’attivismo delle milizie vicine al ministro degli Interni nella capitale, dall’altra gli sforzi di Bashagha per acquisire sostegno internazionale, infine i tentativi dei delegati al Forum suoi alleati di procedere al voto ad ogni costo; tutto lascia credere che a Tripoli si stiano intensificando gli sforzi per ottenere un cambio al vertice, se non, addirittura, per organizzare un colpo di Stato.

La minaccia terroristica

In questo contesto sono proprio le Forze Speciali di Deterrenza della RADA a svolgere un ruolo chiave. Esse potrebbero garantire a Bashagha il controllo di Tripoli qualora la popolazione o le altre milizie si rifiutassero di riconoscerlo quale nuovo leader del governo.

Si tratta di una unità tradizionalmente legata al ministro degli Interni del GNA, guidata, come già detto, dal famoso comandante islamista Abdul Rauf Kara. Attualmente, essa è uno dei gruppi armati più influenti di Tripoli.

Qualora Bashagha salisse al potere RADA finirebbe per diventare la milizia egemone della capitale, nonostante si tratti di un’organizzazione accusata di rapimenti, torture e veri e propri massacri di gruppi rivali.

Nonostante il suo legame ufficiale con il Ministero degli Interni del governo ufficialmente riconosciuto dall’ONU, RADA è anche accusata di traffico di esseri umani, contrabbando e terrorismo, nonché di aver utilizzato minori come bambini-soldato e di aver rapito decine di migranti africani per ottenerne il riscatto.

Il procuratore della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, ha dichiarato di continuare “a ricevere informazioni in merito ai gravi crimini” commessi nella prigione di Mitiga, nei pressi di Tripoli, controllata dalle Forze speciali di deterrenza, che la utilizzano “per detenere arbitrariamente civili in condizioni disumane, sottoponendoli anche a tortura”.

Nella stessa Tripoli si sono tenute proteste in piazza contro la detenzione illegale di prigionieri da parte del gruppo RADA. Ma il Ministero degli Interni del GNA continua a tacere. Ci sono, anzi, fotografie in cui Abdul Rauf Kara compare tra i partecipanti alle riunioni convocate al Ministero.

Tra i “successi” del gruppo vanno ricordati il rilascio ad agosto di un militante dell’ISIS (che in seguito a sterminato tutta la sua famiglia) e le accuse di aver sparato in modo indiscriminato contro manifestanti disarmati a Tripoli.

D’altronde i miliziani di Kara non riconoscono la Legislazione Internazionale sui Diritti Umani, avendo come loro principale obiettivo l’instaurazione della Sharia (secondo l’interpretazione salafita).

La vendetta islamista

L’ascesa al potere di Fathi Bashagha sarebbe un autentico trionfo per la RADA, che grazie al suo sostegno è già diventata in questi anni un’organizzazione estremamente ramificata.

Da forza radicata essenzialmente in Tripolitania, essa potrebbe divenire un’organizzazione fondamentalista islamica estesa su tutto il territorio nazionale.

Si tratta di un’eventualità che dovrebbe suscitare grande preoccupazione in Europa e particolarmente in Italia. Avere come vicino un paese guidato da esponenti dell’Islam radicale costituisce un pericolo, non solo perché la Libia potrebbe trasformarsi in una piattaforma logistica per il trasferimento di elementi radicali nel Vecchio Continente (cosa che in parte già avviene), ma anche perché essa eserciterebbe sulla popolazione immigrata un’influenza ideologica più intensa, in grado di aumentare la diffusione del fondamentalismo islamista. Senza contare il fatto che tutto questo produrrebbe una reazione degli altri gruppi armati presenti nel paese, facendolo ripiombare nella guerra civile.

Nel settembre 2018, ad esempio, l’influente predicatore salafita Majdy Haffala, con il sostegno del leader di RADA, ha emesso una fatwa, in virtù della quale la città di Tarhuna, in Tripolitania, è stata dichiarata “città di Kharigiti” (eretici), quindi “nemici dell’Islam”: è facile immaginare cosa potrebbe accadere se questi estremisti aumentassero ulteriormente il loro potere. La Libia sprofonderebbe in un caos generalizzato, divenendo terreno fertile per l’ISIS e altre organizzazioni terroristiche.

I gruppi salafiti sono attualmente osteggiati da tutte le altre fazioni libiche – tanto quelle vicine al GNA, quanto quelle legate all’LNA – ma con Bashagha premier potrebbero acquisire una posizione centrale, sia per la speciale vicinanza al ministro, sia perché questi senza l’appoggio di RADA non sarebbe in grado di controllare Tripoli. Infatti, allo stato, solo i gruppi armati di Misurata, tra quelli impegnati sul terreno, gli sono fedeli, a parte RADA.

Va, pertanto, scongiurata a tutti i costi una vittoria in Libia dell’Islam radicale, onde evitare che la minaccia terroristica contro l’Europa aumenti fino a raggiungere livelli incontrollabili.

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