La Francia non sembra avere intenzione di mollare la sua presa sul Mali dopo il colpo di stato del maggio scorso. Lo testimonia il tenore dell’intervento del delegato di Parigi all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che lo scorso 27 settembre ha intimato alle autorità maliane di rispettare la scadenza elettorale prevista per il 27 febbraio 2022.
Il ministro della Difesa francese Florence Parly, da parte sua, si è spinto ancora più oltre, accusando l’attuale capo del governo del Mali, Choguel Kokalla Maiga di ipocrisia, malafede e indecenza.
Precedentemente il premier maliano aveva ipotizzato di rinviare le elezioni presidenziali e parlamentari fissate per febbraio prossimo proprio allo scopo di evitare contestazioni sulla loro regolarità. Maiga aveva anche contestato alla Francia di aver “abbandonato” il paese al suo destino nel bel mezzo di un conflitto civile e che il governo della giunta militare da lui guidato avrebbe cercato altri partner, anche “privati”, per fronteggiare la situazione.
A chiarire il reale significato delle parole del primo ministro maliano era quindi intervenuto il responsabile della politica estera di Mosca Sergei Lavrov che aveva annunciato il raggiungimento di un accordo tra il Mali e una Private Military Company (PMC) russa per proseguire la lotta al terrorismo, confermando quanto riferito dall’agenzia Reuters sul coinvolgimento della PMC Wagner, già presente da tempo e con forza nella Repubblica Centrafricana.
Il nodo elezioni
Dopo il rovesciamento nell’agosto di un anno fa del Presidente della Repubblica filofrancese Ibrahim Boubacar Keita da parte dei militari maliani, le relazioni tra Bamako e Parigi si sono rapidamente deteriorate. Nel giugno 2021, dopo il nuovo golpe della fine di maggio 2021, il Presidente Emmanuel Macron ha annunciato la sua intenzione di ritirare la missione militare francese antiterrorismo dal Mali. Contestualmente la Francia e la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS), molto condizionata da Parigi, hanno cominciato ad esercitare pressioni, sia diplomatiche che economiche, sul Mali affinchè venissero indette nuove elezioni “democratiche” il più rapidamente possibile. L’obiettivo evidente era ottenere il più velocemente possibile la caduta della nuova giunta militare, indebolendone la capacità di interdizione militare rispetto ai gruppi ribelli e scatenando il malcontento popolare.
Proprio le pressioni interne ed esterne avevano indotto nel settembre 2020 i militari maliani a varare la Carta di transizione del Mali, un documento paracostituzionale che definiva i poteri e la durata del governo provvisorio. Il documento era il frutto di un compromesso politico tra i militari e l’opposizione rappresentata dal Movimento 5 giugno-Raggruppamento delle forze patriottiche (M5-RFP), raggiunto grazie alla pesante moral suasion dell’ECOVAS.
L’arrivo del Gruppo Wagner nel paese, però, sembra aver aumentato la capacità negoziale dei militari rispetto all’ex potenza coloniale, al punto che essi sentono di poter disporre di un più ampio margine di manovra e di potersi sottrarre agli impegni presi in precedenza, a cominciare dal nodo elettorale. Il governo maliano rivendica adesso la propria libertà di decidere autonomamente quando fissare la data delle elezioni, in base allo stato dell’ordine pubblico del paese, e di cambiare significativamente le stesse regole in base alle quali svolgerle.
Chi può concorrere alla carica di presidente?
Aggirando il testo della Carta di transizione del Mali, l’attuale Capo dello Stato provvisorio, Assimi Goïta, sarebbe intenzionato a candidarsi alla carica di Presidente della Repubblica.
Stando alla lettera della Carta di transizione, in base all’articolo 9 agli attuali presidente e vicepresidente ad interim non sarebbe consentito candidarsi alle elezioni che dovranno svolgersi al termine del “periodo di transizione”.
I membri dell’attuale governo, però, contestano questo dispositivo per due motivi.
Il primo concerne l’incostituzionalità della stessa Carta di transizione, che viola la Costituzione ufficiale del Mali, tuttora vigente. In particolare la Carta di transizione contravverrebbe all’articolo 121 della Costituzione della Repubblica del Mali varata nel 1992, secondo cui “il fondamento di ogni autorità nella Repubblica del Mali risiede nella Costituzione”, nonché all’articolo 26, il quale sancisce che la fonte della sovranità nazionale è il popolo, laddove la Carta di transizione non è stata approvata dai cittadini.
Inoltre la Carta di transizione ha la pretesa di porsi al di sopra della stessa Costituzione, ma questa non prevede la possibilità di dotarsi di strumenti giuridici che deroghino dalla Costituzione. La circostanza in virtù della quale la Carta di transizione è stata adottata con il consenso di una cerchia ristretta di individui, senza che essa fosse seguita da una consultazione popolare, sarebbe in contraddizione secondo il governo attuale, anche con l’articolo 26 della Costituzione, che sancisce che “la Costituzione deve essere rispettata in ogni circostanza”.
Pertanto, proprio in quanto incostituzionale, la Carta di transizione non avrebbe l’autorità per limitare i diritti dei cittadini del Mali, compresi quelli del colonnello Assimi Goïta. La Costituzione della Repubblica del Mali del 1992 non essendo stata (né potendo essere) abrogata dalla Carta di transizione, renderebbe nulle tutte le disposizioni contenute in questo documento in palese contraddizione con il testo costituzionale. Un argomento in virtù del quale i membri della giunta militare considerano incostituzionale, e quindi giuridicamente nulla, la limitazione del diritto di voto passivo del Capo dello Stato dell’attuale periodo di transizione.
Il secondo motivo in base al quale viene contestato l’articolo 9 della Carta di transizione ha invece a che fare con principi giuridici più generali, in base ai quali il futuro Capo dello Stato dovrebbe non solo essere dotato dei requisiti legali per assumere la carica, ma anche possedere la legittimità per esercitare il ruolo, volendo aderire al lessico di uno dei più grandi giuristi del XX secolo, il tedesco Carl Schmitt. Dovrebbe, in sostanza, essere provvisto del consenso effettivo della popolazione, o della maggioranza di essa. In questo momento, il colonnello Goïta è oggettivamente una delle poche figure di spicco della scena politica maliana e impedirgli di candidarsi comprometterebbe la legittimità, in senso schmittiano, delle future istituzioni del paese, in quanto l’articolo 9 della Carta di transizione impedirebbe al popolo del Mali di esercitare pienamente la propria sovranità nella scelta del Capo dello Stato. Pertanto l’incandidabilità del colonnello Assimi Goïta a presidente del Mali sarebbe illegittimo e illegale.
Gli altri contendenti
Assimi Goïta non è, però, l’unica figura popolare in Mali. L’esito della competizione elettorale dipenderà dal sostegno delle personalità politiche economiche e religiose della società maliana in grado di influenzare, per ragioni tribali o di clan, le scelte della popolazione, così come l’eventuale decisione di rinviare le elezioni fino a quando l’ordine sarà pienamente ripristinato.
Un personaggio molto popolare, ad esempio, è l’imam Mahmoud Dicko, un leader religioso di orientamento salafita che ha avuto un ruolo enorme nell’organizzazione delle proteste contro l’estromissione di Ibrahim Boubacar Keita, che aveva guidato il primo golpe nell’agosto dello scorso anno, e che ha promosso una consultazione sull’estensione del regime militare.
Gode di largo seguito anche il leader sufi Mohammad Maoulah Bouyé Haïdara, impegnato a organizzare marce e raduni a favore della proroga dell’attuale regime il più a lungo possibile.
Altri possibili candidati alla presidenza del Mali sono Ibrahima Diawara, vice presidente dell’associazione degli imprenditori maliani; Seydou Coulibaly, capo della società di consulenza ingegneristica CIRAS; e l’uomo d’affari Aliou Boubacar Diallo, che arrivò terzo alle elezioni presidenziali del 2018. Secondo i media maliani, infine, i militari potrebbero anche decidere di candidare il generale in pensione Moussa Sinko Coulibaly o il banchiere Mamadou Igor Diarra.
Sarà interessante, a questo punto, verificare se effettivamente la giunta militare avrà la forza sufficiente, oltre agli argomenti, per determinare autonomamente la data delle elezioni sottraendosi alle pressioni. Ciò significherebbe che davvero, in quella parte di Africa, gli equilibri geopolitici sono mutati.