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Marocco: prime misure post terremoto

Mohammed VI lancia misure di emergenza per far fronte agli effetti del terremoto nella regione di Marrakech

Il re del Marocco, Mohammed VI, ha presieduto una sessione di lavoro presso il Palazzo Reale di Rabat. Erano presenti il capo del governo e i responsabili dei ministeri. Tutti preoccupati per le conseguenze del terremoto nella regione di Marrakech. Erano presenti anche i rappresentanti delle Forze Armate Reali, le autorità regionali e locali delle zone colpite. Quelli delle forze dell’ordine e le squadre della protezione civile per informarsi sulle misure adottate in seguito al sisma che ha causato finora la morte di oltre 1.300 persone.

Mohammed VI ha ordinato il dispiegamento di tutti i mezzi umani e materiali. Sia terrestri che aerei, necessari per la cura delle vittime e la ricerca dei sopravvissuti tra le macerie. Questo nonappena è stato registrato il terremoto e confermata l’entità dei danni subiti.

Il Marocco ha predisposto un importante dispositivo di assistenza in risposta al terribile terremoto che lo ha colpito.

Dopo una prima valutazione d’emergenza delle misure adottate, il Re ha chiesto di intensificare gli sforzi data l’entità del terremoto. E’ il più forte della storia del Marocco, di magnitudo 7 della scala Richter, che ha causato la morte di oltre 1.300 persone. Più di 1.800 feriti. Ha causato danni materiali in diverse città nella zona del disastro intorno a Marrakech.

Il Re Mohammed VI, accompagnato dal Principe ereditario Moulay El Hassan, ha presieduto nel pomeriggio di sabato 9 settembre 2023 presso il Palazzo Reale di Rabat, una sessione di lavoro.

I dipartimenti ministeriali interessati, si sono concentrati principalmente su:

Rafforzare le risorse e le squadre di ricerca e salvataggio per accelerare le operazioni di salvataggio ed evacuazione delle persone ferite; la fornitura di acqua potabile alle zone colpite; la distribuzione di kit alimentari, tende e coperte a beneficio delle vittime; la rapida ripresa dei servizi pubblici.

Si ricorda a questo proposito che, su istruzioni del Re Mohammed VI, Guida Suprema e Capo di Stato Maggiore Generale delle Forze armate reali, le FAR hanno dispiegato con urgenza importanti risorse umane e logistiche, aeree e terrestri, nonché moduli di intervento specializzati basato su squadre di ricerca e soccorso e un ospedale da campo medico-chirurgico.

In questo contesto, il Re ha dato istruzioni affinché prosegua tempestivamente le azioni di soccorso effettuate sul terreno, e al fine di:

Istituire immediatamente una commissione interministeriale incaricata di attuare, il più rapidamente possibile, un programma di riabilitazione di emergenza e di assistenza per la ricostruzione delle abitazioni distrutte nelle zone colpite dal disastro. Prendersi cura delle persone in difficoltà, in particolare degli orfani e delle persone vulnerabili.
Assistenza immediata a tutte le persone che si ritrovano senza casa a causa del terremoto, in particolare in termini di alloggio, cibo e tutti gli altri bisogni primari.

L’incoraggiamento degli operatori economici in vista di una rapida ripresa delle attività nelle aree interessate.
L’apertura di un conto speciale presso il Tesoro e la Banca Al Maghrib, al fine di ricevere contributi volontari di solidarietà da parte di cittadini e organizzazioni pubbliche e private. La piena mobilitazione della Fondazione Mohammed V per la Solidarietà, in tutte le sue componenti, per fornire sostegno e accompagnamento ai cittadini nelle zone colpite. La creazione di riserve e scorte di beni di prima necessità (medicinali, tende, letti, cibo, ecc.) in ciascuna regione del Regno per prepararsi a qualsiasi tipo di catastrofe.

È stato inoltre deciso un lutto nazionale di 3 giorni, con bandiere a mezz’asta su tutti gli edifici pubblici.

Il Re ha dato le istruzioni al Ministro degli Habous e degli Affari Islamici per l’esecuzione della preghiera degli assenti (Salat Al Ghaib) in tutte le moschee del Regno, per il resto per le anime degli assenti vittime.

Il Sovrano ha inoltre espresso i più sinceri ringraziamenti del Regno del Marocco ai tanti paesi fraterni e amici che hanno espresso la loro solidarietà al popolo marocchino. In questa difficile situazione e molti dei quali hanno espresso la loro disponibilità a fornire aiuto e assistenza in queste particolari circostanze.

Hanno preso parte a questa sessione di lavoro il Capo del Governo, Aziz Akhannouch, il Ministro degli Interni, Abdelouafi Laftit, il Ministro della Sanità e della Protezione Sociale, Khalid Ait Taleb, nonché il Tenente Generale, Mohammed Berrid. , Ispettore Generale delle FAR e Comandante della Zona Sud, Tenente Generale, Mohamed Haramou, Comandante della Gendarmeria Reale, Generale di brigata, Mohamed Elabbar, Ispettore del Servizio di Sanità Militare delle FAR, Colonnello Maggiore Ihssane Lotfi, Direttore Generale della Protezione Civile, Abdellatif Hammouchi, Direttore Generale della Sicurezza Nazionale, Direttore Generale della Sorveglianza Territoriale Nazionale, e Mohamed El Azami, coordinatore e membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Mohammed V per la Solidarietà”.

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Iran: arrivato nuovo ambasciatore saudita

Martedì 5 settembre è arrivato a Teheran il nuovo ambasciatore dell’Arabia Saudita in Iran, Abdullah bin Saud Al-Anazi

Il nuovo ambasciatore dell’Arabia Saudita in Iran, Abdullah bin Saud Al-Anazi, è arrivato martedì 5 settembre a Teheran per iniziare la sua missione. Lo ha riferito l’agenzia di stampa saudita “SPA”.

Al suo arrivo nella capitale iraniana, Al-Anazi ha affermato che le direttive della leadership saudita sottolineano l’importanza di rafforzare le relazioni. Per intensificare la comunicazione e gli incontri tra il Regno e l’Iran.

Ha aggiunto che l’Arabia Sudita cerca di spostare le relazioni tra i due paesi vicini verso orizzonti più ampi. Considerando che possiedono componenti economiche, risorse naturali e vantaggi che contribuiscono a migliorare gli aspetti di sviluppo, prosperità, stabilità e sicurezza nella regione e per il beneficio comune di i due paesi e i loro popoli.

L’ambasciatore ha sottolineato che la Visione 2030 del Regno rappresenta una tabella di marcia importante. Riflette tutti gli aspetti della cooperazione su cui è possibile costruire per migliorarla. Secondo una prospettiva strategica che stabilisce i principi di buon vicinato, comprensione, dialogo propositivo e rispetto per rafforzare la fiducia reciproca tra i due paesi.

L’Arabia Saudita e l’Iran hanno concordato a marzo di ristabilire le relazioni diplomatiche. Di riaprire le loro ambasciate dopo anni di tensioni tra i due paesi.

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L’Algeria e la Russia rafforzano la partnership militare


Nonostante la guerra in Ucraina l’Algeria e la Russia stanno rafforzando la loro partnership militare. Il capo di stato maggiore dell’esercito algerino, Said Changriha, ha incontrato giovedì 10 novembre ad Algeri il direttore del servizio federale del coordinamento militare russo, Dimitri Evguenievich Chougaev. Secondo il ministero della Difesa algerino, questa visita fa parte della cooperazione militare altamente sviluppata tra i due paesi.

Questo incontro avviene poco prima delle manovre militari congiunte previste per novembre in Algeria, finalizzate alla lotta al terrorismo. Entro la fine dell’anno è atteso a Mosca anche il presidente Abdelmadjid Tebboune.

Le relazioni militari operative tra Algeri e Mosca stanno vivendo una svolta, e la prova sono proprio le manovre congiunte previste dal 16 al 28 novembre 2022 nella regione di Hammaguir a Béchar.

Il passaggio a una fase operativa dei rapporti militari tra Algeria e Russia non risale ad oggi, anzi. Dopo le manovre militari congiunte in Ossezia del Sud del novembre 2021 che hanno visto la partecipazione di un contingente algerino, il mese di settembre 2022 ha visto la partecipazione di un distaccamento di 100 soldati dell’Anp nell’esercitazione “VOSTOK 2022”, organizzata nell’Estremo Oriente della Russia.

Negli ultimi due anni sono state organizzate regolarmente esercitazioni militari navali tra i due eserciti. Pochi giorni prima delle sue manovre, il direttore del Servizio federale per la cooperazione militare e tecnica della Russia, Dimitrii Chougafv, si è recato in Algeria dove ha incontrato il capo di stato maggiore dell’esercito nazionale popolare – ha detto Ciiengriha – 10 novembre 2022.

Questa visita rientra nel quadro del consolidamento dei rapporti tra i due eserciti nonché nel contesto dell’aumento del budget militare algerino per l’anno 2023, che raggiungerà i 23 miliardi di dollari, prospettiva che avrebbe portato i funzionari militari russi ad avvicinarsi all’Algeria al fine di monopolizzare una parte significativa di questa dotazione di bilancio sotto forma di contratti per gli armamenti. Questa fortuna finanziaria che Mosca raccoglierà aiuterà sicuramente a finanziare e sostenere lo sforzo bellico russo in Ucraina.

Le manovre di Béchar sono solo un messaggio di Mosca all’Occidente, a dimostrazione della capacità della Russia di schierarsi vicino agli interessi occidentali nel Mediterraneo occidentale. Il rapporto indissolubile tra Algeria e Russia sul piano geopolitico, che colloca Algeri nel clan filorusso è evidente così come la discrepanza tra la narrazione ufficiale algerina che sostiene il non allineamento e la neutralità con la realtà sul campo che parla di un’alleanza infallibile tra Algeria e Russia.

E’ evidente l’esistenza di un clan all’interno dell’establishment algerino che considera sacra l’alleanza con Mosca e uno dei fondamenti dello stesso Stato algerino.
Mosca considera l’Algeria un fronte avanzato nella sua strategia di confronto militare con l’Occidente, a cui ricorrerà per concedere spazio alla sua forza d’attacco, che erige il confine algerino-marocchino in una linea di demarcazione tra l’Occidente zona di influenza e quella dell’ex blocco socialista. Questo allineamento dell’Algeria con le posizioni russe dovrebbe indurre i paesi occidentali a rivedere la loro strategia e partnership con questo paese, le cui posizioni sono contrarie ai loro interessi geopolitici. In un momento in cui l’Algeria gode dei dividendi dei suoi contratti energetici con l’Occidente, continua a rafforzare la sua cooperazione militare con Mosca. Una cooperazione che non si limita solo all’aspetto bilaterale, poiché l’Algeria ha contribuito concretamente a facilitare l’insediamento militare russo nel continente africano.

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Allarme diritti umani in Algeria: la denuncia di 15 ONG

In una dichiarazione congiunta per le missioni diplomatiche accreditate, l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani (OHCHR) e le ONG con sede a Ginevra, 15 Organizzazioni non governative hanno presentato la situazione dei diritti umani in Algeria definendola «estremamente preoccupante». È successo al termine di una tavola rotonda tenutasi lunedì 14 novembre 2022 a Ginevra.

Durante l’Universal Periodic Review (UPR) dell’Algeria sulla situazione dei diritti umani, tenutosi l’11 novembre 2022 davanti al Consiglio dei diritti umani a Ginevra, la delegazione algerina guidata dal ministro della Giustizia, Abderrachid Tabi, ha fornito una falsa argomentazione rispetto agli impegni di cooperazione tra l’Algeria e gli organi delle Nazioni Unite.

Lo hanno notato 15 ONG durante un tavolo di confronto lunedì 14 novembre 2022 a Ginevra. Al tavolo hanno preso parte esperti di migrazione, accademici e difensori dei diritti umani delle province meridionali, della Svizzera, dell’Italia e della Spagna.

In questo frangente le carenze rispetto alla situazione dei diritti umani in Algeria sono state portate all’attenzione della comunità internazionale attraverso una dichiarazione congiunta destinata alle Missioni diplomatiche accreditate a Ginevra, all’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani (OHCHR) e alle ONG con sede a Ginevra.

Le affermazioni che l’Algeria cooperi in “buona fede” con i meccanismi delle Nazioni Unite e si sia dichiarata pronta a ricevere i mandatari per gli anni 2023 e 2024 sono false perché il Comitato contro la tortura (CAT) aveva deciso di sospendere il dialogo con l’Algeria a causa del sua rifiuto a collaborare.

Inoltre, diversi relatori speciali non hanno potuto visitare l’Algeria a causa di cancellazioni dell’ultimo minuto, in particolare il Gruppo di lavoro sulle sparizioni forzate o involontarie (GTDFI), che, da 20 anni, cerca di entrare in Algeria. In particolare la visita del Relatore speciale sulla libertà di riunione pacifica è stata annullata con il pretesto delle restrizioni sanitarie legate al Covid 19.

Per quanto riguarda la lotta al terrorismo, il ministro della Giustizia algerino ha affermato che non vi è contraddizione tra la normativa nazionale e internazionale in materia , e che la definizione di terrorismo rientrava nella discrezionalità dello Stato.

Per quanto riguarda i procedimenti legali contro attivisti, giornalisti, influencer e difensori dei diritti umani, il ministro algerino ha affermato che i procedimenti giudiziari sono molto rari e conformi al codice penale e che la giustizia, essendo indipendente, prende le decisioni appropriate, conclude il comunicato congiunto.

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Marocco: non partecipazione a voto ONU non è posizione su guerra Ucraina


La mancata partecipazione del Marocco al voto presso l’ONU, non può essere oggetto di alcuna interpretazione in relazione alla sua posizione di principio in merito alla situazione tra Federazione Russa e Ucraina.

Lo spiega in un comunicato stampa il Ministero degli Affari Esteri di Rabat. Il Regno del Marocco, infatti, continua a seguire con preoccupazione l’evolversi della situazione tra l’Ucraina e la Federazione Russa. Deplora l’escalation militare che, purtroppo, fino ad oggi ha provocato centinaia di morti e migliaia di feriti e che ha causato sofferenze umane da entrambe le parti, soprattutto perché questa situazione ha un impatto su tutte le popolazioni e gli Stati della regione e oltre.

Il Regno del Marocco ribadisce il suo forte attaccamento al rispetto dell’integrità territoriale, della sovranità e dell’unità nazionale di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, e ricorda che, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite, i Membri dell’Organizzazione devono risolvere le loro controversie con mezzi pacifici e secondo i principi del diritto internazionale, al fine di preservare la pace e la sicurezza nel mondo, aggiunge lo stesso fonte.

Il Marocco si è sempre adoperato per promuovere il non uso della forza per la risoluzione delle controversie tra Stati. Chiede la continuazione e l’intensificazione del dialogo e della negoziazione tra le parti per porre fine a questo conflitto e incoraggia tutte le iniziative e le azioni a tal fine.
Inoltre, in risposta all’appello del Segretario generale dell’Onu, il Marocco ha deciso di contribuire finanziariamente agli sforzi umanitari delle Nazioni Unite e dei paesi limitrofi, conclude la stessa fonte.

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NATO: ieri il webinar “L’allargamento ad Est”

Si è tenuta ieri la videoconferenza organizzata dall’associazione Il Burbero sul tema “L’allargamento della NATO ad Est, tra rischi di guerra e ripercussioni sull’Europa”. Sono intervenuti all’evento il responsabile dell’organizzazione Angelo Simula, la dirigente Elisabetta De Luca, il sociologo Fabrizio Fratus e l’europarlamentare di Fratelli d’Italia Vincenzo Sofo. Ha moderato l’incontro l’animatore del blog Il Burbero Mario D’Aquino. D’Aquino ha messo in evidenza in particolare gli squilibri prodotti dall’allargamento dell’Alleanza Atlantica ad Est sia nei rapporti con la Russia, sia a livello di relazioni intraeuropee e inter-atlantiche: “Nei negoziati che si stanno avendo in questi giorni tra il Cremlino e le cancellerie occidentali – ha affermato – si scontrano due diversi principi: quello della cosiddetta ‘sicurezza condivisa’, invocato da Mosca, e quello della libertà degli stati sovrani di scegliere il sistema di alleanze internazionali al quale aderire senza vincoli esterni”. “La seconda – ha proseguito – appare una posizione assolutamente legittima, in teoria, nella pratica non è possibile un ordine pacifico del pianeta se qualcuno non sente che la propria sicurezza è pienamente garantiti da determinati equilibri geopolitici, che hanno ricadute politiche militari ed economiche”. L’affiliazione dei paesi aderenti un tempo al Patto di Varsavia, ha aggiunto “ha creato problemi sia all’interno dell’Unione Europea (pensiamo all’atavica contrarietà polacca e baltica al North Stream che consente al gas russo di arrivare in Germania bypassando i loro territori), sia tra gli Stati Uniti e l’Europa nel suo complesso (basti pensare che l’attuale crisi ucraina, compromettendo il flusso di gas russo a buon mercato impone agli stati europei di acquistare il costoso shale gas, è una delle principali cause dell’aumento senza precedenti delle bollette dei consumatori europei, ma anche del rilancio dell’industria petrolifera statunitense)”. Secondo Fratus, inoltre,  “l’adesione alla NATO di paesi storicamente russofobi come Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia (e parzialmente Romania e Bulgaria) ha immesso elementi di forte aggressività, a volte illogici, supportati soprattutto da alcuni apparati americani e dalla Gran Bretagna, da sempre interessate ad evitare che si venisse a crea un blocco europeo in grado di sottrarsi all’egemonia delle potenze marittime anglofone”. “Di fatto, i paesi del blocco orientale ex Patto di Varsavia – ha evidenziato Fratus – hanno costituito una sorta di cintura di sicurezza attorno alla Russia (l’’Intermarium’), con l’obiettivo di evitare che si saldassero gli interessi energetici, economici, politici e, eventualmente, militari di Mosca con quelli dei paesi dell’Europa occidentale e centrale, vero nocciolo duro dell’Unione Europea.

Nelle sue conclusioni l’europarlamentare di Fratelli d’Italia, Vincenzo Sofo, ha rilevato come, proprio in questo frangente in cui le tensioni legate alla crisi ucraina si vanno esasperando, “chi sembra mancare all’appuntamento, dimostrando di essere incapace di tutelare i propri interessi e di posizionarsi a livello strategico come un progetto politico unitario, è proprio l’Europa. Un dato di fatto – ha evidenziato Sofo – reso plasticamente manifesto dall’andirivieni tra Kiev e Mosca dei capi di Stato e di Governo di Francia, Germania e presto, secondo quanto annunciato da Draghi, Italia. L’assenza di una politica estera unica e, soprattutto, di una forza di deterrenza militare lascia l’Europa in balia delle logiche di Mosca e di Washington”.

Francesco Di Stefano

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Sanzioni ad Haftar e ad al Tamini per riconciliare la Libia

Modern Diplomacy, autorevole intervista di respiro internazionale, ha recentemente pubblicato un articolo dal titolo “Perché è necessario aumentare la pressione su Haftar?”

Secondo gli autori, il generale Khalifa Haftar, uno dei più importanti leader militari della Libia, è attualmente il principale ostacolo al processo di pacificazione. Il ragionamento fa leva su di una circostanza molto precisa, ovvero l’accusa di corruzione e crimini di guerra che pende sulla sua testa.

“Sebbene Haftar sia stato ufficialmente nominato comandante dell’Esercito Nazionale Libico dal presidente della Camera dei Rappresentanti (cosiddetto Parlamento di Tobruk), Aguila Saleh, da diverso tempo ha smesso di obbedire ai suoi ordini, preferendo perseguire un propria linea di condotta, spesso in contraddizione con gli accordi raggiunti tra l’est e l’ovest del paese. La riprova più eclatante di quanto affermato e dell’atteggiamento aggressivo e indisponibile ai compromessi di Haftar resta l’offensiva lanciata nel 2019 contro Tripoli. Le sue ambizioni politiche sono tra le principali cause del prolungarsi del conflitto in Libia”. Così su Modern Diplomacy.

Quale potrà essere il futuro è nuovamente diventato un tema di grande attualità. Le gravi tensioni che viva in questa fase l’Europa orientale sollevano preoccupazioni e rischiano di compromettere l’approvvigionamenti energetico del Vecchio Continente.

Di conseguenza i paesi mediterranei fornitori di gas, Algeria e Libia, stanno assumendo un’importanza sempre più decisiva per l’Europa. Ma mentre l’Algeria presenta un quadro politico sostanzialmente stabile, l’ormai decennale guerra civile in cui versa la Libia ha reso insicure le forniture di gas che da questo paese, attraverso il Greenstream, giungono in Italia.

Stabilizzare la Libia è diventato, quindi, un obiettivo improcrastinabile per l’Europa, ma l’UE sembra avere scarsi strumenti per influenzare la situazione. Lo stesso Haftar, principale elemento di destabilizzazione, appare insensibile alle sollecitazioni di Bruxelles.

Per risolvere questa difficoltà, l’unica strada perseguibile è gravare Haftar, il suo braccio destro il generale Kheiri al Tamimi e il loro entourage con sanzioni economiche personali. Gli Stati Uniti lo stanno già facendo. Nel 2020, infatti, il Dipartimento del Tesoro americano ha imposto sanzioni economiche contro Haftar, bloccando fondi, merci e servizi destinati a lui e ai suoi alleati.

https://www.forbes.com/sites/arielcohen/2022/02/11/political-risks-and-hobbesian-warfare-complicate-libyan-gas-supply-for-europe/?sh=15109b583738

Non solo. In questi giorni i tribunali USA si apprestano a processare Haftar per crimini di guerra e, siccome lui e i suoi figli sono cittadini americani e dispongono ancora di proprietà e legami commerciali negli Stati Uniti, Washington è in condizione di utilizzare tutto questo come strumento di pressione per condizionarne i comportamenti.

La timidezza dei paesi UE nei confronti di Haftar appare a questo punto inspiegabile, a meno di inconfessabili legami d’affari esistenti con lui e i suoi collaboratori più stretti. Le circostanze però, a questo punto, impongono un’accelerazione in questa direzione, per non trovarsi spiazzati dall’iniziativa messa in campo dagli Stati Uniti.

Per il mantenimento del suo potere soprattutto militare, Haftar dipende dalle esportazioni illegali di petrolio, venduto attraverso varie società di intermediazione con sede legale negli Emirati Arabi Uniti. Proprio per questa ragione Haftar è poco propenso a favorire un processo di pacificazione della Libia volto al ripristino della integrità territoriale e statale del paese. Ciò, infatti, lo priverebbe delle sue principali fonti di reddito.

E’ interessante notare come Washington, tra le varie sanzioni, non ne abbia imposte alcune specifiche sul commercio di petrolio. Potrebbe farlo l’Unione Europea. Sarebbe l’unico modo per costringere “la volpe del deserto” a favorire il processo di riconciliazione nazionale in Libia.

Vincenzo Mollo

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Nuovo colpo di scena in Libia

Crisi politica

Il caos libico continua a fornire alle cronache colpi di scena: nelle ultime settimane si è assistito all’ennesima girandola di alleanze, con ex nemici all’ultimo sangue fino a ieri che improvvisamente hanno preso a marciare fianco a fianco.

E così ieri è avvenuto che la Camera dei Rappresentanti di Tobruk eleggesse premier Fathi Bashagha, ex ministro degli Interni del governo di Fayyez al Sarraj e notoriamente vicino alla Fratellanza Musulmana.

https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2022/02/10/libia-bashagha-nuovo-premier-designato_35795cc5-e032-43be-9cc4-994107d50d63.html

Il noto politico di Misurata, un tempo perno del governo di Tripoli e fiero avversario del generale Khalifa Haftar e del presidente del Parlamento di Tobruk Aguila Saleh, ha, infatti, stretto un patto politico con costoro a dicembre, coronando la sua aspirazione ad assumere la carica di capo del governo.

In realtà il nuovo esecutivo presieduto da Bashagha si oppone al Governo di Unità Nazionale guidato da Abdelhamid Dbeibah con il placet della comunità internazionale: composto nel marzo del 2021, esso aveva ricevuto il mandato di organizzare entro il mese di dicembre dello stesso anno le elezioni per il presidente e per il parlamento. Queste, però, sono state rinviate sine die e la Camera dei Rappresentanti non ha inteso accogliere l’istanza di Abdelhamid Dbeibah di continuare a guidare il paese fino alle consultazioni elettorali e ha ritenuto ormai scaduto il mandato del Governo di Unità Nazionale e necessario, al tempo stesso, eleggere un nuovo governo più efficace.

Ancora una volta, quindi, la Libia si trova immersa in una crisi politica con due governi che rivendicano entrambi la legittimità ad esercitare il potere.

La risposta dell’ONU

Sulla carta, Fathi Bashagha appare più forte, godendo del sostegno del Parlamento e del principale leader politico della Cirenaica, Aguila Saleh. La nuova alleanza vede oggi unite l’intera Libia orientale e parti consistenti di quella occidentale, a cominciare dalle influenti fazioni e milizie della città di Misurata, laddove l’autorità  di Dbeibah è riconosciuta solamente da una parte della popolazione della Tripolitania.

Il portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite Stephane Dujarric, però, ha ribadito che l’ONU non intende mollare Abdelhamid Dbeibah e continua a considerare legittimo il suo governo, nonostante la decisione della Camera dei rappresentanti. 

https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/libia-l-onu-continua-a-sostenere-dbeibah-come-premier_45659924-202202k.shtml

Stephane Dujarric ha tuttavia precisato che la posizione delle Nazioni Unite è provvisoria, in attesa dell’esito delle consultazioni avviate dalla consigliera speciale del segretario generale Onu, Stephanie Williams, con i rappresentanti libici. La Williams ha addirittura affermato che la decisione del parlamento libico di “approvare un nuovo governo, è totalmente sovrana e rientra nella sfera di competenza delle istituzioni libiche”, sebbene abbia esortato “queste istituzioni ad operare in modo trasparente e consensuale con tutte le parti interessate e sulla base di regole e procedure stabilite, compresi gli accordi internazionali”.

La posizione degli Stati Uniti

E’ probabile che l’attendismo delle Nazioni Unite sia legato alle forti perplessità di Washington dovute al coinvolgimento di Khalifa Haftar nella nuova alleanza. Il generale ha appoggiato la formazione del nuovo governo a condizione di mantenere la propria posizione nella nuova geografia del potere e il suo apparato militare.

Il 7 e l’8 febbraio Roma ha ospitato una serie di incontri sulla Libia, cui hanno preso parte rappresentanti del Qatar, il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias e  la consigliera speciale del segretario generale Onu, Stephanie Williams, ricevuti dal titolare della Farnesina Luigi Di Maio.

https://www.libyaobserver.ly/news/rome-hosted-international-gathering-discuss-developments-libya

Sembra che anche l’ambasciatore americano in Libia Richard Norland fosse presente ai colloqui di Roma: questi avrebbe insistito affinché Haftar venga escluso dal processo politico in atto. Gli USA considerano il generale un criminale di guerra in seguito alla sua offensiva lanciata contro Tripoli nel 2019, un punto di vista condiviso dalla Williams, lei stessa ex diplomatica statunitense. Gli americani, insomma, si aspettano che gli alleati europei facciano pressioni su Haftar e lo costringano ad uscire dalla scena politica libica.

Sanzioni e processo

Negli Stati Uniti le udienze del processo contro Haftar potrebbero riprendere a breve: lo chiedono gli accusatori del generale dopo l’interruzione collegata alle elezioni previste il 24 dicembre scorso. Ora lo scenario è cambiato e Khalifa Haftar deve rispondere dell’accusa di aver commesso crimini di guerra dinanzi a un tribunale americano in Virginia, essendo lui cittadino statunitense ed essendo stato a lungo residente in quello Stato. 

https://www.africaintelligence.com/north-africa_politics/2022/02/07/following-election-cancellation-threat-of-us-trials–resumption-stalks-haftar,109731921-art

Le probabilità che i paesi europei, sollecitati dagli Stati Uniti, impongano sanzioni contro Haftar sono molto alte, così come le possibilità che egli venga condannato dai tribunali americani. Se le cose andassero così, il generale sarebbe definitivamente escluso da qualsiasi gioco politico.

Washington ha da tempo stretto buone relazioni con Fathi Bashaga e sarebbe disponibile a negoziare con lui, ma sicuramente non con Haftar.

Bashaga, Saleh o anche lo stesso Dbeibah, pur fortemente indebolito, sono percepiti dagli USA come partner assai più affidabili e prevedibili dell’instabile e ormai compromesso Khalifa Haftar.

Franco Degli Esposti

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Mali: manifestazioni anti-sanzioni in Africa, Europa e Nord America

Nel corso della giornata di ieri hanno avuto luogo in Mali e in diversi paesi dell’Africa occidentale e centrale numerose manifestazioni contro le sanzioni imposte il 10 gennaio scorso ai danni del Mali dalla Comunità dei Paesi dell’Africa Occidentale (Cedeao). Migranti maliani hanno organizzato raduni dinanzi alle ambasciate anche in vari paesi europei e in Nord America. La manifestazione principale ha avuto luogo a Bamako, capitale del Mali, dove migliaia di persone sono scese in piazza contro le sanzioni per la seconda volta dopo la grande mobilitazione del 14 gennaio.

Lo scorso 9 gennaio la Cedeao ha imposto sanzioni ai danni del Mali dopo la decisione della giunta militare di prolungare di cinque anni la durata del governo di transizione e di rinviare le elezioni per il rischio di attacchi terroristici. Le organizzazioni pan-africaniste che hanno dato vita alle proteste in Senegal, Camerun, Niger, Nigeria e Guinea, accusano la Francia e i suoi alleati di aver istigato la Cedeao ad assumere tale decisione e hanno chiesto ai loro governi di ritirare le sanzioni.

I governi di alcuni paesi africani, come il Benin, hanno vietato le manifestazioni, mentre in Burkina Faso centinaia di manifestanti pro-Mali hanno cercato di erigere barricate nel centro della capitale Ouagadougou e si sono scontrati con la polizia che ha usato i gas lacrimogeni. Dimostrazioni di elementi della diaspora maliana hanno avuto luogo in varie città della Francia e a Parigi, davanti all’ambasciata del Mali, così come in Germania, Regno Unito, Spagna, Italia, Belgio, Guyana, Stati Uniti e Canada. Proprio ieri un militare francese, il brigadiere Alexandre Martin, è morto in Mali nel corso di un attacco alla base operativa avanzata di Gao, colpita dal tiro di mortai da parte di forze ostili alla coalizione internazionale a guida francese, che opera in Sahel nell’ambito dell’Operazione Barkhane.

“Se siamo arrivati a questo punto della crisi è soprattutto colpa della Francia che in questi anni coi suoi militari si preoccupa di difendere i propri interessi geostrategici nell’area anziché difendere i civili e ripristinare la stabilità. Gli attacchi jihadisti si sono intensificati e la zona è sotto il controllo del governatore ed è sotto grande pressione”, aveva affermato Patricia Bayoro, presidente della Comunità della Diaspora Africana in Italia (Codai) in un’intervista ad Africa Rivista, alla vigilia della manifestazione in Italia.

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Sudan: nuova bomba migratoria per l’Europa

Pur privo di confini terrestri o marittimi con paesi dell’Unione Europea, il Sudan potrebbe presto diventare una nuova fonte di flussi migratori diretti verso il Vecchio Continente. All’inizio di dicembre Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti, vice presidente del Consiglio Sovrano di Transizione del Sudan ha dichiarato in un’intervista che l’Europa e gli Stati Uniti potrebbero essere presto interessati da una nuova ondata migratoria, qualora non sostenessero il nuovo regime militare da poco instauratosi nel paese.

“In virtù dell’impegno che abbiamo assunto con la comunità internazionale per ora stiamo ospitando queste persone sul nostro territorio – ha detto Hemeti, parlando in video-call da Khartoum – ma se il Sudan aprisse le proprie frontiere sarebbe un disastro per il mondo intero”.

Lo scorso ottobre i militari sudanesi hanno rovesciato il governo civile provvisorio e hanno assunto direttamente il potere, giustificando il colpo di Stato con la necessità di stabilizzare il paese. USA ed Unione Europea hanno condannato il golpe e per questo il governo sudanese sta ora valutando la possibilità di utilizzare i migranti come strumento di pressione.

L’Europa nuovamente sull’orlo del collasso

Mohamed Hamdan Dagalo e il governo sudanese sanno benissimo che l’Unione Europea su questo tema è particolarmente vulnerabile. E’ dal 2015, quando scoppiò la crisi migratoria dovuta al flusso di rifugiati provenienti dalla Siria, che l’Europa mostra tutta la sua debolezza su questo fronte: una debolezza ben sfruttata dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan che ha ripetutamente ricattato Bruxelles, minacciando di non trattenere sul suo territorio le masse di persone in fuga, ottenendo in questo modo ingenti risorse in cambio dell’accoglienza. Un esempio ripreso dal leader bielorusso Alexander Lukashenko, che recentemente ha cercato di alleggerire la pressione internazionale sul suo paese, strumentalizzando le decine di migliaia di migranti ammassati sul confine polacco con l’intenzione di varcare le frontiere dell’Unione.

Perché, dunque, non dovrebbe provare ad ottenere qualcosa dall’UE anche la giunta militare di un paese dove stazionano oltre un milione di migranti provenienti da altri paesi africani, devastato da guerre esterne e interne (come in Darfur), da tensioni sociali e la cui popolazione, in larga parte, non aspetta altro che di poter fuggire verso le coste europee? I cedimenti di Bruxelles ai vari ricatti che si sono susseguiti sul tema immigrazione, la rendono un facile bersaglio, considerando peraltro che il Sudan accoglie moltissimi rifugiati provenienti dall’Etiopia in guerra, che potrebbe facilmente dirottare in Europa attraverso la Libia.

Il problema libico

E’ evidente che se il Sudan consentisse il passaggio dei profughi verso la Libia, nessuno potrebbe fermarli ed essi si riverserebbero appena possibile sulle coste italiane.

La situazione in Libia è tale, oramai, che nessuno risulta essere in grado di garantire il controllo del territorio. Il paese nordafricano è diventato una piattaforma logistica ideale per il traffico di esseri umani.

Nel 2021sono stati circa 31.500 i migranti intercettati e rispediti in Libia, rispetto agli 11.900 dell’anno precedente, mentre, sempre nel 2020, circa 980 sono risultati morti o dispersi.

La situazione, di fatto, è ingestibile. Ogni qual volta gli uomini della missione Frontex tentano di fare qualcosa per arginare il flusso, magari negoziando con le milizie che controllano il territorio libico, immediatamente i media lanciano critiche feroci, evidenziando le condizioni disumane in cui versano i migranti trattenuti nei centri della Tripolitania. La tesi di fondo, spesso sottaciuta, talvolta enunciata esplicitamente, è che sarebbe meglio accogliere milioni di africani nell’UE, piuttosto che consentire ai banditi libici di ridurli in schiavitù. Un modo di ragionare che fa oggettivamente il gioco dei trafficanti di esseri umani.

L’alternativa agli scafisti è rappresentata dai voli diretti dalla Libia verso l’Europa organizzati sotto l’egida ONU.

Le stesse Nazioni Unite si oppongono anche ai respingimenti verso il Sudan dei migranti illegali che sono riusciti a varcare il confine libico.

Un tale approccio lancia un messaggio che conduce in un vicolo cieco, perché incoraggia la migrazione legale, col suo corollario di morti e di crimini, nonché di minacce geopolitiche, come quelle rivolte all’Europa dai militari sudanesi. Uscire dalla retorica dei liberal e dei tecnocrati dell’ONU e dell’UE è solo il primo passo necessario per rendere l’Europa meno vulnerabile.

Franco Degli Esposti