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Marocco: al via costruzione impianto desalinizzazione di Casablanca

Il Principe ereditario del Marocco Moulay El Hassan avvia la costruzione dell’impianto di desalinizzazione di Casablanca, il più grande dell’Africa, a beneficio di 7,5 milioni di abitanti

Il Principe ereditario del Marocco, Moulay El Hassan, ha avviato nel Comune di Lamharza Essahel della provincia di El Jadida, i lavori di costruzione della stazione di desalinizzazione dell’acqua marina di Casablanca, il più grande impianto di questo tipo in Africa. L’impianto avrà una capacità produttiva annua di 300 milioni di m3 ed una popolazione beneficiaria stimata in 7,5 milioni di abitanti.

Questo progetto rientra nell’interesse del Re Mohammed, verso la questione strategica dell’acqua, in particolare nell’attuale contesto caratterizzato da un notevole deficit di precipitazioni e da una fortissima pressione sulle risorse idriche convenzionali nelle diverse regioni del Regno.

È parte integrante dell’asse “Miglioramento dell’approvvigionamento idrico” del Programma nazionale di approvvigionamento di acqua potabile e irrigazione 2020-2027, lanciato nel 2020 il cui costo complessivo raggiungerà i 143 miliardi di dirham.

La futura stazione, che soddisferà la crescente domanda d’acqua della Grande Casablanca, delle città di Settat, Berrechid e Bir Jdid e delle regioni limitrofe, sarà costruita in due fasi su un terreno di 50 ettari e richiederà un investimento complessivo di 6,5 miliardi di dirham, mobilitati attraverso un partenariato pubblico-privato.

Nella prima fase, la cui messa in esercizio è prevista per la fine del 2026, la stazione dovrà raggiungere una capacità di 548.000 m3 di acqua trattata al giorno (200 milioni di m3 all’anno), ampliabile, in una seconda fase (prevista per la metà -2028) a 822.000 m3 al giorno, ovvero 100 milioni di m3 aggiuntivi all’anno, di cui 50 milioni per uso agricolo.

Questo importante progetto riguarda la costruzione di un impianto di dissalazione dell’acqua di mare mediante osmosi inversa e la realizzazione di un sistema di trasporto dell’acqua potabile prodotta comprendente tre stazioni di pompaggio, tre serbatoi di stoccaggio e una rete di distribuzione di quasi 130 chilometri di tubi di trasporto. Questo sistema di trasporto dell’acqua potabile richiederà, da parte sua, una dotazione di 3 miliardi di dirham finanziati con fondi pubblici.

L’ultima generazione della stazione di dissalazione dell’acqua di mare di Casablanca comprenderà due tubi di alimentazione dell’acqua di mare della lunghezza di 1.850 ml, un’uscita di scarico della lunghezza di 2.500 ml e impianti di dissalazione ad osmosi inversa (filtri a pressione e microfiltri), un’unità di trattamento dei fanghi, un controllo e centro di gestione e stazioni di pompaggio, oltre ad un serbatoio di stoccaggio dell’acqua potabile prodotta.

Con un costo di produzione dell’acqua potabile stimato in 4,48 DH/m3, la futura stazione sarà alimentata al 100% da energie rinnovabili e la sua gestione sarà completamente automatizzata.

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Emirati: debutto sul mercato obbligazionario di Binghatti

Vola con una sottoscrizione superiore al 200%

Binghatti, leader nello sviluppo immobiliare di Dubai, ha raggiunto un traguardo significativo con il lancio di successo della sua emissione inaugurale di Sukuk (Bond) triennale da 300 milioni di dollari. Il Sukuk, valutato in modo competitivo al 9,625%, ha subito un rialzo di circa 30 punti base, a dimostrazione della forte domanda e fiducia degli investitori.

Questa transazione ha raccolto un’ampia domanda da parte degli investitori sia regionali che internazionali, con il portafoglio ordini che ha raggiunto un impressionante livello di sottoscrizione pari a 2,1 volte. Il portafoglio ordini ha superato i 600 milioni di dollari, con un picco di 621 milioni di dollari, sottolineando la forte domanda per l’offerta Sukuk di Binghatti.

Prima dell’emissione, Binghatti aveva incontrato gli investitori durante roadshow internazionali in Asia e nel Regno Unito. Il portafoglio ordini ha attirato una base di investitori diversificata, presentando notevoli contributi dal Regno Unito, dall’Europa e dall’Asia che rappresentano un’ampia percentuale della domanda. L’accordo è stato il primo sukuk di riferimento immobiliare denominato in dollari USA dalla regione MENA nel 2024.

Le banche locali, tra cui Emirates NBD, Dubai Islamic Bank, HSBC, Abu Dhabi Islamic Bank, Sharjah Islamic Bank, Mashreq Bank e RAKBank, hanno agito come joint lead manager (JLM) e bookrunner dell’accordo.

“Siamo entusiasti dell’enorme successo della nostra prima emissione di Sukuk, che riflette la fiducia che gli investitori hanno riposto in Binghatti. Questa immensa risposta dimostra la forza del nostro modello di business e l’attrattiva della nostra proposta di investimento”, ha affermato Muhammad BinGhatti, CEO di Binghatti.

La risposta del mercato evidenzia gli straordinari risultati ottenuti da Binghatti con la sua prima emissione di Sukuk e riflette la reputazione distinta dello sviluppatore nel settore.

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Marocco-Francia: sorelle Mohammed Vi ricevute all’Eliseo

Le tre sorelle del re del Marocco, Mohammed VI, Lalla Meryem, Lalla Asma e Lalla Hasna, sono state ricevute all’Eliseo su invito di Brigitte Macron. Lo rende noto l’agenzia di stampa del Marocco “Map”. Le tre principesse marocchine si trovano in visita a Parigi su ordine del Capo di Stato marocchino. Nel corso della loro missione le tre principesse hanno partecipato ad un pranzo all’Eliseo organizzato nell’ambito della continuità delle storiche relazioni amichevoli tra il Regno del Marocco e la Repubblica francese.

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Marocco: Spagna conferma posizione su Sahara

Riguardo all’iniziativa di autonomia come “la base più seria, realistica e credibile per la risoluzione della controversia”

Il ministro degli Affari Esteri, dell’Unione Europea e della Cooperazione del Regno di Spagna, José Manuel Albares, ha ribadito, a Rabat, la posizione del suo Paese riguardo alla questione del Sahara marocchino.

“La posizione della Spagna riguardo alla questione del Sahara non è cambiata. È quella già espressa nella Dichiarazione congiunta, adottata il 7 aprile 2022, e nella Dichiarazione che sancisce la 12a sessione
dell’incontro ad alto livello Marocco-Spagna (RHN) nel febbraio 2023″.

Lo ha indicato il capo della La diplomazia spagnola durante la conferenza stampa congiunta tenutasi dopo il colloquio con il ministro degli Affari Esteri, della Cooperazione Africana e dei Marocchini residenti all’estero, Nasser Bourita.

Va ricordato che la Dichiarazione Congiunta è stata adottata il 7 aprile 2022 durante l’incontro tra il re Mohammed VI e il presidente del governo spagnolo, Pedro Sanchez.

“La Spagna considera l’iniziativa di autonomia del Marocco, presentata nel 2007, come la più importante serio, realistico e credibile per la risoluzione di questa controversia”.

Madrid riconosce l’importanza della questione del Sahara per il Marocco, nonché la sua gravità autorità credibili del Marocco nel quadro delle Nazioni Unite per trovare una soluzione reciprocamente accettabile.

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Marocco: importante giro di nomine a livello diplomatico a Rabat

Il re Mohammed VI nomina nuovi ambasciatori

Si registra in Marocco un importante giro di nomine a livello diplomatico, a seguito del consiglio dei ministri che si è svolto ieri sera tardi nel palazzo reale di Rabat. Secondo quanto riportano i media marocchini, Mohammed VI ha approvato la nomina di sei Ambasciatori. Si tratta di Ahmed Tazi, negli Emirati Arabi Uniti, Fouad Akhrif, ambasciatore in Giordania, Mohamed Ait Ouali in d’Egitto, Samira Sitail ambasciatrice in Francia, Abdelkader El Ansari in Cina e Youssef Amrani negli Stati Uniti.

Queste nomine diplomatiche segnano un passo importante nelle relazioni internazionali del Marocco. Evidenziando l’importanza strategica dei paesi interessati. Evidenziano anche il desiderio di stabilire meritocrazia e professionalità all’interno della diplomazia marocchina, aprendo la strada a un profilo di qualità, con la storica nomina della prima donna ambasciatrice del Regno a Parigi.

Quella nominata in Francia è la prima ambasciatrice donna a Parigi dall’indipendenza. Ha una vasta esperienza nel campo dei media nazionali e internazionali. Ha una grande padronanza dell’ambito politico e delle principali questioni economiche e sociali del Regno. Ha un’ottima conoscenza del panorama politico e mediatico francese.
Fa parte della “famiglia diplomatica” marocchina (il suo coniuge è a
diplomatico di carriera). Ha partecipato a diverse missioni e azioni del Regno.

Questi ambasciatori svolgeranno un ruolo chiave nel rafforzamento delle relazioni bilaterali. Ma anche nella promozione degli interessi del Marocco sulla scena internazionale. Questo giro di nomine diplomatico comprende sei paesi di grande importanza per il Regno del Marocco. Sia a causa di forti legami storici, partenariati multidimensionali, sia per la loro rilevanza per la questione del Sahara marocchino.

Questi paesi sono sempre stati al centro dell’attenzione di Mohammed VI. Tre di loro sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Stati Uniti, Francia e Cina), mentre gli altri tre svolgono un ruolo chiave all’interno dell’ordine arabo e della Lega degli Stati arabi (Emirati Arabi Uniti, Regno Hashemita di Giordania e Repubblica Araba d’Egitto).

Oltre all’emergente contesto internazionale, caratterizzato dal conflitto tra Cina e Stati Uniti, sul piano economico, politico e geostrategico, queste nomine si collocano in un contesto di turbolenza in Medio Oriente. In particolare per quanto riguarda il rapporto israelo-israeliano conflitto palestinese, che coinvolge l’intera regione e richiede sforzi diplomatici e politici da parte di paesi influenti, tra cui Egitto, Giordania, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti. Anche questi appuntamenti si svolgono in un contesto bilaterale, caratterizzato da solide relazioni tra il Regno e questi sei Paesi, ma con il desiderio di rafforzarli, adattarne i paradigmi e arricchirne i contenuti.

Cinque dei sei Ambasciatori nominati sono dirigenti del Ministero degli Affari Esteri. Ciò sottolinea la fiducia reale nella professionalità e competenza dei dirigenti della diplomazia marocchina. A questi dirigenti vengono assegnate posizioni di vertice. Queste nomine rafforzano l’esperienza diplomatica: quattro dei sei ambasciatori nominati hanno già ricoperto più volte incarichi diplomatici come ambasciatori. Tutti hanno ricoperto incarichi di rilievo all’interno del Ministero (Ministro Delegato, Segretario Generale, Direttori Centrali). Conoscono bene i rispettivi ambiti di incarico (Direttore dell’Asia in Cina, Direttore dei Paesi arabi in Giordania, Rappresentante presso la Lega degli Stati Arabi negli Emirati Arabi Uniti, ex membro dell’Ambasciata al Cairo che diventa Ambasciatore nello stesso Paese).

Quella nominata in Francia è la prima ambasciatrice donna a Parigi dall’indipendenza. Ha una vasta esperienza nel campo dei media nazionali e internazionali. Ha una grande padronanza dell’ambito politico e delle principali questioni economiche e sociali del Regno. Ha un’ottima conoscenza del panorama politico e mediatico francese.
Fa parte della “famiglia diplomatica” marocchina (il suo coniuge è a
diplomatico di carriera). Ha partecipato a diverse missioni e azioni del Regno.

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L’Algeria e la Russia rafforzano la partnership militare


Nonostante la guerra in Ucraina l’Algeria e la Russia stanno rafforzando la loro partnership militare. Il capo di stato maggiore dell’esercito algerino, Said Changriha, ha incontrato giovedì 10 novembre ad Algeri il direttore del servizio federale del coordinamento militare russo, Dimitri Evguenievich Chougaev. Secondo il ministero della Difesa algerino, questa visita fa parte della cooperazione militare altamente sviluppata tra i due paesi.

Questo incontro avviene poco prima delle manovre militari congiunte previste per novembre in Algeria, finalizzate alla lotta al terrorismo. Entro la fine dell’anno è atteso a Mosca anche il presidente Abdelmadjid Tebboune.

Le relazioni militari operative tra Algeri e Mosca stanno vivendo una svolta, e la prova sono proprio le manovre congiunte previste dal 16 al 28 novembre 2022 nella regione di Hammaguir a Béchar.

Il passaggio a una fase operativa dei rapporti militari tra Algeria e Russia non risale ad oggi, anzi. Dopo le manovre militari congiunte in Ossezia del Sud del novembre 2021 che hanno visto la partecipazione di un contingente algerino, il mese di settembre 2022 ha visto la partecipazione di un distaccamento di 100 soldati dell’Anp nell’esercitazione “VOSTOK 2022”, organizzata nell’Estremo Oriente della Russia.

Negli ultimi due anni sono state organizzate regolarmente esercitazioni militari navali tra i due eserciti. Pochi giorni prima delle sue manovre, il direttore del Servizio federale per la cooperazione militare e tecnica della Russia, Dimitrii Chougafv, si è recato in Algeria dove ha incontrato il capo di stato maggiore dell’esercito nazionale popolare – ha detto Ciiengriha – 10 novembre 2022.

Questa visita rientra nel quadro del consolidamento dei rapporti tra i due eserciti nonché nel contesto dell’aumento del budget militare algerino per l’anno 2023, che raggiungerà i 23 miliardi di dollari, prospettiva che avrebbe portato i funzionari militari russi ad avvicinarsi all’Algeria al fine di monopolizzare una parte significativa di questa dotazione di bilancio sotto forma di contratti per gli armamenti. Questa fortuna finanziaria che Mosca raccoglierà aiuterà sicuramente a finanziare e sostenere lo sforzo bellico russo in Ucraina.

Le manovre di Béchar sono solo un messaggio di Mosca all’Occidente, a dimostrazione della capacità della Russia di schierarsi vicino agli interessi occidentali nel Mediterraneo occidentale. Il rapporto indissolubile tra Algeria e Russia sul piano geopolitico, che colloca Algeri nel clan filorusso è evidente così come la discrepanza tra la narrazione ufficiale algerina che sostiene il non allineamento e la neutralità con la realtà sul campo che parla di un’alleanza infallibile tra Algeria e Russia.

E’ evidente l’esistenza di un clan all’interno dell’establishment algerino che considera sacra l’alleanza con Mosca e uno dei fondamenti dello stesso Stato algerino.
Mosca considera l’Algeria un fronte avanzato nella sua strategia di confronto militare con l’Occidente, a cui ricorrerà per concedere spazio alla sua forza d’attacco, che erige il confine algerino-marocchino in una linea di demarcazione tra l’Occidente zona di influenza e quella dell’ex blocco socialista. Questo allineamento dell’Algeria con le posizioni russe dovrebbe indurre i paesi occidentali a rivedere la loro strategia e partnership con questo paese, le cui posizioni sono contrarie ai loro interessi geopolitici. In un momento in cui l’Algeria gode dei dividendi dei suoi contratti energetici con l’Occidente, continua a rafforzare la sua cooperazione militare con Mosca. Una cooperazione che non si limita solo all’aspetto bilaterale, poiché l’Algeria ha contribuito concretamente a facilitare l’insediamento militare russo nel continente africano.

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Marocco: non partecipazione a voto ONU non è posizione su guerra Ucraina


La mancata partecipazione del Marocco al voto presso l’ONU, non può essere oggetto di alcuna interpretazione in relazione alla sua posizione di principio in merito alla situazione tra Federazione Russa e Ucraina.

Lo spiega in un comunicato stampa il Ministero degli Affari Esteri di Rabat. Il Regno del Marocco, infatti, continua a seguire con preoccupazione l’evolversi della situazione tra l’Ucraina e la Federazione Russa. Deplora l’escalation militare che, purtroppo, fino ad oggi ha provocato centinaia di morti e migliaia di feriti e che ha causato sofferenze umane da entrambe le parti, soprattutto perché questa situazione ha un impatto su tutte le popolazioni e gli Stati della regione e oltre.

Il Regno del Marocco ribadisce il suo forte attaccamento al rispetto dell’integrità territoriale, della sovranità e dell’unità nazionale di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, e ricorda che, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite, i Membri dell’Organizzazione devono risolvere le loro controversie con mezzi pacifici e secondo i principi del diritto internazionale, al fine di preservare la pace e la sicurezza nel mondo, aggiunge lo stesso fonte.

Il Marocco si è sempre adoperato per promuovere il non uso della forza per la risoluzione delle controversie tra Stati. Chiede la continuazione e l’intensificazione del dialogo e della negoziazione tra le parti per porre fine a questo conflitto e incoraggia tutte le iniziative e le azioni a tal fine.
Inoltre, in risposta all’appello del Segretario generale dell’Onu, il Marocco ha deciso di contribuire finanziariamente agli sforzi umanitari delle Nazioni Unite e dei paesi limitrofi, conclude la stessa fonte.

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Algeria: aperte le indagini sulla morte dei tre camionisti uccisi nel Sahara

Molti i dubbi sulle dinamiche della morte

Sono state aperte dalle autorità algerine le indagini sulla morte di tre camionisti uccisi il primo novembre mentre si trovavano a bordo dei loro mezzi mentre nel deserto del Sahara.

I camionisti algerini sono rimasti coinvolti nell’incidente su una pista nella zona cuscinetto tra l’Algeria e il Marocco. All’impatto sarebbe poi seguita una esplosione. Immediatamente gli analisti locali si chiedono cosa facesse un convoglio commerciale (secondo la versione di Algeri) in questa regione contesa soggetta al diritto internazionale.

Ci sono dubbi su come possa condurre l’Algeria le sue indagini, considerato che il luogo dell’incidente è di competenza della missione Minurso. Il comunicato diffuso oggi dalla presidenza algerina annuncia infatti l’apertura di un’inchiesta, e ciò dimostra come Algeri stia agendo nella zona cuscinetto, in violazione della normativa internazionale vigente. Per gli esperti del dossier, la fragilità della narrazione di Algeri appare evidente con le prime informazioni diffuse su questa vicenda, che inizialmente parlavano di un incidente avvenuto in Mauritania, poi smentita dalla pubblicazione di un comunicato stampa dell’esercito mauritano che ha confutato questa tesi.

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Gli Stati Uniti e l’inchiesta “Lab-leak”: la lettera aperta di Christopher Ford, l’ex assistente di Mike Pompeo

Il Dipartimento di Stato USA e l’inchiesta “Lab-leak”: lettera aperta di Christopher Ford, ex assistente del segretario di Stato Mike Pompeo*

* Christopher Ford ha prestato servizio fino all’8 gennaio 2021 come assistente del Segretario di Stato USA Mike Pompeo per la sicurezza internazionale, svolgendo negli ultimi 15 mesi dell’amministrazione Trump  le funzioni di sottosegretario di Stato per il controllo degli armamenti e la sicurezza internazionale. In precedenza, sempre presso il Dipartimento di Stato, aveva guidato la Direzione per il contrasto alla proliferazione delle armi di distruzione di massa. Laureato a Harvard, Rhodes Scholar all’Università di Oxford e alla Yale Law School, il dottor Ford ha collaborato in qualità di esperto con vari think tank, è stato ufficiale dell’intelligence della Marina degli Stati Uniti, membro dello staff di cinque diversi comitati del Senato degli Stati Uniti e diplomatico americano di alto livello. È autore di due libri sulla politica estera cinese e di decine di articoli su argomenti di sicurezza internazionale. Qui il suo sito personale.

In una lettera aperta pubblicata lo scorso 10 giugno, Ford prende posizione contro le accuse mossegli da alcuni consulenti e funzionari del Dipartimento di Stato americano di aver tentato di boicottare l’indagine sulla Lab-leak – l’ipotesi secondo cui il COVID-19 avrebbe un’origine artificiale e si sarebbe diffuso in seguito a una fuga accidentale del patogeno dal laboratorio di Wuhan. Accuse che hanno dato origine negli USA a una violenta e importante polemica sui media.

La lettera aperta

Siccome i fatti e l’onestà intellettuale continuano ad avere un valore sia in ambito giornalistico sia in ambito politico, nonostante la deriva che caratterizza i nostri tempi, spero che questa lettera aperta aiuti a fare chiarezza, dopo la notevole quantità di sciocchezze e falsità che sono state scritte recentemente riguardo ai litigi all’interno del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America  nelle ultime settimane dell’amministrazione Trump, sul modo in cui avrebbe dovuto essere esaminata la questione delle origini del SARS-CoV-2.

Mi sono deciso a scrivere perché, per dirla senza giri di parole, sono stanco di essere bersaglio di stupide e paranoiche teorie complottiste diffuse da chi sostiene di saperla lunga, ma che qualsiasi osservatore attento e scrupoloso potrebbe confutare senza difficoltà, considerando che il sottoscritto è colui che sin dal 2007 ha messo in guardia la comunità politica circa la minaccia rappresentata per gli Stati Uniti e per l’intero mondo democratico dalle ambizioni geopolitiche del Partito Comunista Cinese. Stanno lì a dimostrarlo due saggi scientifici, decine di articoli e discorsi, pronunciati anche in veste ufficiale di membro del Dipartimento di Stato: in che modo avrei coperto, dunque, le responsabilità del Partito Comunista Cinese?

So bene, però, avendo frequentato la politica per molto tempo, che un’assurdità, per quanto stupida, se inserita in una narrazione conveniente, è in grado perfino di negare con successo l’evidenza e la logica dei fatti e so anche che una sequela di accuse compulsive e oltraggiose appassionano assai più di un’analisi sobria. Può darsi, dunque, che provare a fare chiarezza sia fatica sprecata. Ciononostante ho deciso di tentare.

E cercherò anche di fare qualcosa di assai poco ortodosso. Piuttosto che usare questa lettera come un’opportunità per inventare e diffondere a gran voce la mia versione dei fatti post eventum – aderendo a una prassi diffusa, ma intellettualmente disonesta – cercherò invece di fornire esclusivamente risposte specifiche e supportate da prove a quanto riportato nei documenti offerti all’attenzione della pubblica opinione dai solerti giornalisti di Fox news e Vanity Fair.

1) Riferimenti documentali precisi

A tal proposito, siccome la questione che ci interessa è il mio ruolo e la mia posizione in relazione all’indagine sulle origini del COVID-19, farò riferimento a tre documenti da me elaborati ed inviati ad altri membri del Dipartimento di Stato all’inizio del gennaio 2021 (Per la cronaca: quando ho lasciato il Dipartimento, non avevo conservato una copia per me di questi documenti. Si dà il caso, però, che fortunatamente le bugie raccontate su questi temi abbiano suscitato l’indignazione  di coloro che sapevano cos’era successo veramente e che ne avevano conservato copia.  Sono felice che essi siano oggi di pubblico dominio, perché aiutano a chiarire cosa stessi facendo esattamente in quel periodo e perché)

I documenti sono i seguenti:

  1. La mail da me inviata il 4 gennaio 2021 a Tom DiNanno e David Asher il 4 gennaio 2021, pubblicata da Fox News;
  2. Uno scambio di mail intercorso tra me e DiNanno il 5 e il 6 gennaio, recuperabile sempre su Fox News
  3. Un messaggio che ho inviato a un certo numero di alti funzionari del Dipartimento di Stato l’8 gennaio, che può essere recuperato su Vanity Fair

2) Sollecitare un’indagine corretta e documentata sulla fuga da laboratorio

Parto da un punto critico. Come si evince da questi documenti, le discussioni in seno al Dipartimento di Stato vertevano sulla necessità di accertare i fatti prima di assumere posizioni pubbliche particolarmente gravi come l’affermazione del Segretario di Stato Mike Pompeo secondo cui fosse “statisticamente” impossibile che SARS-CoV-2 non si fosse originato da una manipolazione di laboratorio effettuata in Cina, l’avvio di “iniziative diplomatiche” presso i governi stranieri sulla base di questa teoria e l’accusa ai danni della Cina di aver violato la Convenzione sulle armi biologiche (BWC) con il COVID-19.

Non era in atto alcun tentativo di impedire l’indagine sull’origine del virus: al contrario la disputa riguardava le modalità con cui condurre l’inchiesta affinché se ne potesse garantire la correttezza e la validità scientifica, soprattutto perché per noi era di vitale importanza andare fino in fondo sulla questione delle “origini” del COVID, inclusa la possibilità che esso provenisse dal Wuhan Institute of Virology (WIV). Personalmente ho sempre sostenuto che l’ipotesi “Lab-leak” meritasse un esame approfondito, perché si tratta di un’ipotesi molto realistica. E non lo sto dicendo solo ora, l’ho affermato anche all’epoca. E spesso.

A questo punto, diamo un’occhiata ai documenti, cominciando dalla mia e-mail del 4 gennaio a DiNanno e Asher. In quel messaggio sottolineavo come le “accuse rivolte dall’Ufficio per il controllo, la verifica e la conformità degli armamenti (AVC) al WIV e al programma cinese BW di essere all’origine di SARS-CoV-2 erano “importanti” e “preoccupanti” e che, proprio per questo, dovevano essere subito vagliate da esperti scienziati.

(Ebbene sì, lo ammetto: ho chiamato il virus “WuFlu”. In un momento in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità escogitava denominazioni “non discriminatorie” come “Alpha” e la gente parlava, invece, liberamente di “variante inglese” “o “variante sudafricana”. Non mi pareva ingiustificato chiamare il virus originale facendo riferimento alla sua effettiva provenienza da Wuhan. Temo di averlo chiamato altrove anche “KungFlu”. Visto col senno di poi tutto questo non appare particolarmente intelligente. Ma spero che il lettore tenga conto del fatto che trattava di mail interne, non destinate ad essere rese pubbliche. Se avessi saputo che un giorno lo sarebbero divenute non sarei stato così naif. Mea culpa.)

In ogni caso, in quella mail ricordavo a DiNanno e Asher di aver loro ordinato, circa un mese prima, di istituire “una commissione di esperti” che, coinvolgendo scienziati di alto profilo ed elementi dell’intelligence, valutasse l’attendibilità delle informazioni di AVC. Chiedevo loro, inoltre, per quale motivo non avessero effettuato le necessarie verifiche prima di fare certe affermazioni e, soprattutto, per quale ragione continuassero a diffondere tra i membri dell’agenzia certe accuse senza averle prima fatte validare da scienziati indipendenti.

In quello stesso messaggio datato 4 gennaio, ribadivo la mia intenzione di “chiedere maggiore trasparenza alla Repubblica Popolare Cinese, soprattutto in merito al grave occultamento dei dati sull’epidemia COVID-19 nelle prime settimane, laddove una maggiore correttezza da parte delle autorità cinesi e un’azione risoluta avrebbero potuto evitare milioni di morti e indicibili sofferenze”.

“Un’indagine sulle origini [del COVID] è di cruciale importanza”, ribadivo, “e mi pregio di insistere affinché si lavori con la correttezza e la chiarezza che finora è mancata”. In quella mail sottolineavo ancora quanto fosse importante, come governo degli Stati Uniti, essere certi delle nostre accuse al governo cinese prima di renderle pubbliche:

“[Dobbiamo] essere certi che le nostre affermazioni siano solide e scientificamente verificate onde evitare imbarazzi e perdere di credibilità presso l’opinione pubblica… Come ho ribadito più volte, se le tue conclusioni saranno accertate, sarò in prima fila ad urlare sui tetti contro di loro. Potreste avere ragione, ma voglio essere sicuro che i fatti siano accertati… Si tratta di questioni di estrema importanza, che dobbiamo indagare fino in fondo, ma in modo rigoroso, documentabile e sincero”.

Da qui la mia irritazione, espressa in quel messaggio, per il fatto che DiNanno si fosse mostrato indolente “nell’organizzare le verifiche a livello scientifico e di intelligence del lavoro di David [Asher]”. Mettevo quindi in guardia DiNanno sul fatto che tutto questo potesse produrre effetti negativi: “Per favore, non continuare a dare l’impressione che l’AVC tema una revisione imparziale” e insistevo affinché mi comunicasse al più presto quando sarebbe avvenuta la verifica scientifica delle accuse. Tutto questo è lì nella mail.

Il giorno dopo, il 5 gennaio, non avendo ricevuto risposta da DiNanno, gli ho inviato una nuova mail (questo il messaggio in fondo alla stringa della posta elettronica del 5-6 gennaio pubblicato da Fox News):

“Sta diventano imbarazzante, per non dire preoccupante, il fatto che AVC dia l’impressione di evitare di assumersi l’impegno di far valutare agli esperti le accuse mosse contro il WIV, mentre continuano da circa un mese a circolare notizie e denunce in merito diffuse dall’agenzia presso l’opinione pubblica”.

DiNanno rispondeva alla mia mail del 5 gennaio con banalità come se non stessero facendo altro che “indagare su potenziali violazioni del controllo degli armamenti”. (Ecco il passaggio centrale nella stringa del 5-6 gennaio.) “Questo è [sic] esattamente ciò che abbiamo fatto”, dichiarò, “e che continueremo a fare”.

Fermiamoci un momento a questo punto. Il lettore attento avrà notato che con un commento come “indagare su potenziali violazioni del controllo degli armamenti”, DiNanno abbia puntualizzato come AVC non stesse tanto indagando sulle origini di SARS-CoV-2, quanto, più specificamente, sulla presunta violazione della Convenzione sulle armi biologiche da parte della Cina attraverso la creazione del virus. In questo modo nell’AVC si mostravano convinti che COVID-19 fosse un esperimento di armi biologiche (BW) andato storto – o addirittura un agente BW deliberatamente scatenato segretamente contro il resto del mondo da Pechino dopo aver vaccinato la propria popolazione, come peraltro suggerito pubblicamente da Asher, in modo piuttosto sorprendente, dopo che il Dipartimento di Stato ha rescisso il suo contratto di consulenza. (E’ possibile apprezzarlo in tutta la sua sobria, cauta, metodica boria in un video su YouTube). In un quadro simile, non sorprende – come ricordavo anche nella mail del 4 gennaio a DiNanno – che nel briefing di dicembre, quando l’AVC mi ha esposto per la prima volta la sua teoria sulle origini del virus, Asher a un certo punto abbia ipotizzato che SARS-CoV-2 fosse un “agente selezionato geneticamente” (GSA) che la Cina stava usando per colpirci, come dimostrato, diceva, dal fatto che gli Stati Uniti presentavano un numero incomparabilmente più alto di casi rispetto all’Africa subsahariana. (Naturalmente non c’è bisogno che stia qui a spiegare perché si trattasse di un’ipotesi insostenibile sotto il profilo analitico, oltre a presentare implicazioni di inaudita gravità.)

Fortunatamente, però, nella sua risposta del 5 gennaio DiNanno mi informava anche del  fatto che AVC aveva finalmente costituito un gruppo di esperti per verificare scientificamente la tesi e che si sarebbe riunito nella serata di giovedì 7 gennaio. (Alla buon’ora! Come si evince dalla mia mail del 4 gennaio avevo chiesto un esame scientifico relativo agli aspetti “statistici” della teoria di AVC sin da quando mi era stata esposta per la prima volta nel mio ufficio a dicembre.)

Nell’attesa che si riunisse il panel, tuttavia, scrivevo nuovamente a DiNanno il 6 gennaio, per sottolineare quanto fosse importante che scienziati autorevoli esaminassero le accuse di AVC prima che accuse così gravi fossero rese pubbliche: “Come ho detto prima, essere in possesso di informazioni che suonano come scientifiche presso un pubblico profano non equivale ad essere corretto. Non ho le competenze scientifiche per sottoporre a critica le conclusioni di David. E nemmeno tu. Ma neanche lui ha una formazione appropriata sotto il profilo tecnico su questi argomenti. Ciò non significa che abbia torto, ovviamente, ma questo aspetto presenta delle implicazioni su come debba essere affrontata una questione complessa e controversa con cui voi ragazzi vi state confrontando, trattando le bioscienze con superficialità… Se hai ragione, dovresti essere disposto a dimostrarlo confrontandoti con veri esperti della materia che, a differenza di coloro che hanno costruito e argomentato la teoria, abbiano competenze specifiche nell’ambito scientifico in cui ti stai avventurando. Davvero non riesco ad immaginare come avrei potuto essere più chiaro su questo da un mese a questa parte. Le tue accuse sono gravi e, potenzialmente, dirompenti e proprio per questo devono essere verificate e valutate con estrema attenzione… Le tue denunce devono essere valutate da esperti qualificati e non semplicemente lanciate su una serie di diapositive dinanzi a un pubblico composto da non scienziati col rischio che possano poi essere confutate”.

Era di estrema importanza ottenere una conferma scientifica da parte delle teorie avanzate da AVC sull’origine in laboratorio del virus, perché sino a quel momento l’indagine di AVC aveva dato l’impressione di aver sistematicamente aggirato gli esperti del Dipartimento di Stato e la stessa comunità di intelligence degli Stati Uniti. Come spiegavo nel mio messaggio dell’8 gennaio, “a quanto pare AVC ha informato di tutto questo alcuni elementi del Dipartimento e alcuni partner di altre agenzie per diverse settimane, ma sembrerebbe che su indicazione di un membro dello staff del S/P [Ufficio di programmazione politica del Dipartimento] abbiano evitato di informare me ed altri sul lavoro d’indagine, nonché la comunità di intelligence nel suo complesso”.

(Breve nota a piè di pagina, ma, credo, significativa: l’ultima osservazione contenuta nella mail, quella relativa all’esclusione degli esperti, mi è stata suggerita, in qualche modo, dallo stesso Tom DiNanno. Quando gli chiesi perché l’AVC avesse eseguito l’inchiesta senza coordinarsi con l’alto funzionario di riferimento…cioè, io –  mi rispose timidamente che gli era stato ordinato di comportarsi così da Miles Yu, membro dello staff del S/P dell’epoca. Stando a DiNanno, Yu avrebbe detto che queste specifiche istruzioni provenivano direttamente dal Segretario di Stato. DiNanno non sembra aver verificato quanto detto da Yu, ma di essersi fidato sulla parola, in virtù del ruolo da lui ricoperto, quello di sottosegretario di Stato de facto. Sarebbe interessante a questo punto capire se: (1) davvero il Segretario di Stato Pompeo ha ordinato di non coinvolgere nell’inchiesta sulle fughe da laboratorio condotte da AVC gli esperti di guerra biologica del Dipartimento, nonché i funzionari dell’intelligence statunitense, portando avanti il lavoro in segreto, senza comunicarlo nemmeno al funzionario facente funzioni di Sottosegretario con delega al controllo degli armamenti e la sicurezza internazionale; (2) Yu, almeno sotto questo aspetto, si sia rivelato un consulente scorretto; o (3) DiNanno mi abbia mentito a proposito della sua conversazione con Yu. Forse un bravo giornalista potrebbe scoprirlo.)

3) il panel di esperti

In ogni caso, finalmente il 7 gennaio si sarebbe potuta avere la possibilità di sottoporre a verifica scientifica la tesi di AVC secondo cui SARS-CoV-2 sarebbe stato il prodotto di una manipolazione da laboratorio del governo cinese, grazie al gruppo di esperti scelto dalla stessa AVC per discutern la “prova statistica”, nei termini in cui essa era stata data per certa a me e ad altri.

Purtroppo, però, come facevo notare il giorno successivo (8 gennaio) nel mio messaggio, nonostante il mio espresso invito – formulato negli ultimi tre paragrafi della mia mail del 6 gennaio – di mettere in condizione gli altri membri del panel “di leggere il documento in anticipo”, AVC non lo aveva messo a disposizione. Tant’è che l’8 gennaio scrivevo: “AVC non ci ha fornito il documento prima della discussione di ieri, per cui la maggior parte dei membri del panel non ha avuto la possibilità di studiarlo in dettaglio”.

Anche così, comunque, non fu difficile per gli analisti coinvolti notare alcuni difetti di base dell’argomento “statistico”, che era stato presentato durante il panel dallo scienziato a cui AVC aveva affidato il compito di sviluppare quella tesi. (Il suo nome era ampiamento conosciuto, ma avevo deciso di non citarlo nel messaggio che avevo inviato ai colleghi del dipartimento. Ritenevo che gli scienziati convocati dovessero sentirsi liberi nel giudizio: ero preoccupato di cosa avrebbe dichiarato il governo degli Stati Uniti e non volevo che colui che aveva elaborato la tesi fosse trascinato nella mischia in prima persona, anche perché la sua posizione era ormai diventata quella di AVC, che l’FBI si occupava di diffondere.)

Vi risparmio l’elenco dettagliato dei rilievi critici formulati dagli esperti contro l’argomento “statistico” di AVC dopo il primo briefing, consegnatomi già a dicembre nel mio ufficio, anche perché i dettagli salienti è possibile leggerli nel messaggio che ho inviato l’8 gennaio ai colleghi più anziani del Dipartimento di Stato. (In quell’occasione mi sono concentrato sull’argomento statistico, dato il risalto che esso aveva avuto nei briefing di AVC; non pretendevo di riassumere in quel messaggio l’intera discussione sortita durante il panel e tutte le altre questioni sollevate). Come potrà verificare chi avrà interesse a leggere il mio resoconto dell’8 gennaio, le tesi di AVC presentavano notevoli criticità. Nella migliore delle ipotesi non era ancora possibile renderle la posizione ufficiale del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti – motivo per il quale mettevo in guardia i miei colleghi, con la mail dell’8 gennaio, dall’affrettarsi a utilizzare l’argomento “statistico”.

Oggi, grazie a Vanity Fair, sono a conoscenza del fatto che un paio di giorni dopo – allorchè io avevo ormai lasciato il Dipartimento – DiNanno replicò con un suo report al mio promemoria. E’ possibile reperirlo on line, dunque non lo esaminerò adesso. Ma alla luce di quanto ho chiarito con prove documentali in merito a quella che era allora la mia posizione sul tema, è facile dedurre quali e quante distorsioni e falsità contenesse la replica di DiNanno. Sarebbe illuminante leggere adesso in parallelo, con attenzione, i nostri due documenti. Risulterebbe abbastanza chiaro che il suo memo era un elenco pasticciato e scorretto di attacchi infondati contro di me – un insieme rabbioso di insulti sottoposto all’attenzione di persone che non potevano sapere cosa gli avessi scritto nel corso dell’ultimo mese e inviato loro in un momento in cui, essendomi dimesso, lui sapeva bene che non avrei avuto la possibilità di difendermi. (Per fortuna, però, i nostri capi erano persone intelligenti. E’ facile comprendere quanto avessero preso seriamente la nota di DiNanno dal fatto che abbiano poi agito quasi sulla scorta del mio invito a maneggiare con cautela le tesi scientifiche di AVC, piuttosto che sulla base del tentativo scomposto di DiNanno di avallare quelle tesi, facendomi passare per il cattivo. Di questo riparlerò dopo).

In questa lettera aperta non è mia intenzione affrontare problemi di ordine scientifico: li lascio a chi ha i titoli per misurarsi con essi. Come scrissi a DiNanno il 4 gennaio: “Non ho le competenze scientifiche per giudicare le affermazioni di David. E nemmeno tu. Ma neanche lui ha una formazione appropriata sotto il profilo tecnico su questi argomenti”. Questo è il vero motivo per cui ho insistito affinché AVC costituisse un gruppo di esperti e la ragione per cui, dopo la riunione del panel il 7 gennaio, ho ritenuto mio dovere informare i colleghi delle perplessità emerse in quell’occasione. E’ possibile che alla fine la scienza dimostri che SARS-CoV-2 è il risultato di una manipolazione artificiale condotta nel WIV. Ma sarebbe stato irresponsabile da parte nostra assumere ufficialmente questa tesi soltanto sulla base delle prove e degli argomenti messi in campo nel corso della tavola rotonda del 7 gennaio.

4) Basta con accuse assurde

Ora alcuni dei miei ex colleghi – forse imbarazzati dagli episodi descritti – mi accusano di aver tentato di impedire l’indagine sull’ipotesi della fuga da laboratorio e di aver provato ad affossarla. (Ringrazio Tucker Carlson per avermi mosso per ben due volte questa accusa in televisione, scatenandomi contro un’ondata di violenza e di odio. Ecco, ad esempio, una mail che ho ricevuto il 3 giugno, subito dopo essere stato accusato per la prima volta da Carlson durante il suo show: “Vaffanculo globalista del c… Perché diavolo hai boicottato la teoria sulla fuga da laboratorio? Vai a leccare i piedi ai comunisti cinesi”. Messaggio spedito dall’indirizzo mail cantcuckthetuck@gmail.com. Ringrazio ancora Tucker per avermi presentato questi nuovi amici.)

Eppure nessuna persona seria, che sia a conoscenza del mio carteggio con AVC potrebbe anche solo lontanamente pensare che fosse mia intenzione impedire l’indagine sull’ipotesi di laboratorio. Lo si evince ampiamente dalle mie mail del 4 e 5-6 gennaio (sono on line ed è possibile rileggerle anche nella loro interezza). Al contrario è evidente che ho sempre ritenuto della massima importanza indagare a fondo su questa ipotesi, sottolineando che “se si scoprisse che le conclusioni [di AVC] sono esatte”, io stesso sarei il primo ad attaccare pubblicamente la Cina.

Un’ulteriore prova del mio personale impegno ad indagare sul WIV – e della mia cautela volta a proteggere l’inchiesta dal discredito e dal ridicolo che l’avrebbe soffocata nella culla, qualora avessimo fatto assumere ufficialmente al Segretario di Stato Pompeo e al Dipartimento una posizione facilmente smontabile dal punto di vista scientifico – è rilevabile proprio nel mio messaggio dell’8 gennaio, allorché ribadivo:

“Se fondate, le conclusioni di AVC sarebbero estremamente importanti…Tutti i partecipanti [al panel del 7 gennaio] sembrano…concordare sul fatto che la Cina dovrebbe essere sollecitata a fornire alcune risposte, tra cui la natura degli esperimenti effettuati a WIV sui nuovi coronavirus, se ci sono stati incidenti nel laboratorio, quali sono i dati presenti nel database di sequenziamento del WIV (misteriosamente messo off line all’inizio della pandemia) e quando precisamente la Repubblica Popolare Cinese si è resa conto (in contrasto con quanto rappresentato in precedenza) che SARS-CoV-2 era presente nei campioni ambientali del “mercato umido” – e non nei campioni di animali vivi – portandoli a concludere che il mercato di Wuhan non era la fonte dell’epidemia. Con domande del genere potremmo esercitare una forte pressione sulla Cina, pretendendo risposte puntuali ed evidenziandone la mancanza di trasparenza per non aver riferito (o aver addirittura coperto) informazioni sensibili”.

E sempre l’8 gennaio ho esplicitamente invitato “AVC e ISN [l’Ufficio per la sicurezza internazionale e la non proliferazione] a collaborare alla stesura di un elenco di quesiti e di punti critici da utilizzare” per mettere Pechino sotto pressione. Insomma, sarebbero questi i comportamenti di un “pezzo di merda globalista” che “lecca i piedi ai comunisti cinesi”, o piuttosto quelli di un amministratore serio, che vigila sulla correttezza e l’integrità intellettuale del processo decisionale del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, in modo da garantirne la credibilità, evitando posizioni avventate che avrebbero screditato l’ipotesi della fuga da laboratorio? Il lettore può farsi da solo un’idea.

5) Valutazioni precise

E a questo punto?

A questo punto chiunque abbia voglia di capire realmente quali fossero le mie intenzioni in quel periodo caratterizzato da duri scontri in senso al Dipartimento di Stato, ora è in possesso della mia versione dei fatti, supportata da documenti interni coevi. In sintesi: personalmente ritenevo folle rendere pubbliche le conclusioni scientifiche di AVC – come avevano esortato a fare DiNanno e Asher – rilasciando alla stampa dichiarazioni ufficiali e intraprendendo iniziative presso i governi stranieri (inclusa la Cina) volte a scoprire se la Cina avesse violato la Convenzione sulle armi biologiche con questo coronavirus, senza aver prima sottoposto a verifica scientifica e imparziale simili accuse.

Desidero essere assolutamente chiaro: da dove ero seduto in quel momento,  ovvero sulla poltrona di Sottosegretario di Stato per il controllo degli armamenti e la sicurezza internazionale, non ho mai riscontrato alcun tentativo messo in atto dal Dipartimento di Stato volto a impedire l’indagine sull’ipotesi lab-leak. Al contrario – come si evince dai documenti – ho sostenuto la necessità di verificarla. Mi interessava a tal punto arrivare alla verità sul WIV che ho insistito affinché si facesse un lavoro inconfutabile. (Se una cosa ti sta davvero a cuore, hai il dovere di assicurarti che sia fatta nel migliore dei modi, altrimenti la stai sabotando). Non mi risulta che nel Dipartimento ci fosse qualcuno che la volesse ignorare o escludere a priori.

Insomma non c’era nessuna cospirazione in atto volta ad insabbiare l’inchiesta, almeno non al Dipartimento di Stato. C’era solo la richiesta di procedere con il massimo rigore intellettuale e di giungere a conclusioni scientificamente difendibili ed accurate. Di tutto questo, non mi scuso. Facevo solo il mio dovere.

E dopo cosa è successo? A quanto pare i miei superiori al Dipartimento di Stato hanno ritenuto valide le considerazioni che avevo formulato l’8 gennaio sulle debolezze della presunta prova “statistica” rilevate dal gruppo di esperti riunito il giorno prima da AVC. Lo testimonia il fatto che né il Segretario di Stato Pompeo, né alcun altro funzionario in servizio, abbiano assunto posizioni sull’origine artificiale del virus presso il WIV sulla base delle considerazioni e delle argomentazioni precedentemente diffuse da AVC. Pompeo, al contrario, il 15 gennaio rese pubblica una “nota informativa” in cui si riportavano accuratamente i rapporti d’intelligence de-secretati che apparivano rilevanti per l’ipotesi lab-leak.

Essendo i miei superiori personalità dal carattere tutt’altro che timido, non ho dubbi che se avessero ritenuto le tesi di AVC scientificamente fondate non avrebbero avuto alcun timore ad avanzarle pubblicamente e ad alta voce. Eppure hanno preferito non farlo. Non posso non sospettare, a questo punto, che si sia trattato di una silenziosa approvazione delle mie considerazioni sull’inopportunità di affrontare la “prima serata” sulla base delle considerazioni di AVC.

(Sarebbe interessante che qualcuno chiedesse ai miei ex superiori cosa pensassero esattamente dell’argomento “statistico” di AVC sulla variazione genomica e perché – se era davvero così probante scientificamente – lo abbiano abbandonato. Di certo posso dire solo una cosa: non è stata una mia decisione. L’8 gennaio, dopo aver invitato alla cautela con la mia lettera, avevo già lasciato il Dipartimento. Sarebbe interessante sapere quali discussioni si siano tenute successivamente).

Penso, però, che quanto successo dopo sia significativo. Piuttosto che concentrarsi su presunte “prove scientifiche” , la discussione pubblica sull’origine del COVID si è spostata sugli interrogativi e sui sospetti sollevati sul WIV dalle notizie di intelligence riportate nella “nota informativa” del Segretario Pompeo. Era questo, a mio avviso, il modo migliore di procedere. Prima di lasciare il Dipartimento, infatti, avevo personalmente rivisto e corretto una prima bozza di quella “nota”, mentre le informazioni de-secretate cominciavano a circolare per ottenere dalle agenzie l’autorizzazione alla loro divulgazione. Fui contento di vederle emergere pubblicamente il 15 gennaio. L’amministrazione Biden non ha sollevato dubbi su quei rapporti e oggi è in corso un dibattito pubblico robusto sulla possibile origine di laboratorio del virus.

In tutta franchezza, credo che chiunque abbia a cuore che l’ipotesi della fuga da laboratorio sia presa sul serio dovrebbe essermi grato, invece di diffamarmi. Se non avessi insistito affinchè le conclusioni di AVC fossero sottoposte a controllo scientifico, l’ipotesi ne sarebbe uscita screditata.  Se oggi abbiamo un dibattito pubblico serio in proposito lo si deve al fatto che il Dipartimento di Stato non ha assunto, all’epoca, come propria posizione ufficiale, affermazioni dal tenore scientifico che non avrebbero resistito al vaglio degli esperti.

E’ un po’ di tempo che mi occupo di controllo degli armamenti e di sicurezza internazionale: dal 2003 al 2006 sono stato vice segretario aggiunto di quello che oggi è l’AVC Bureau. Come ho detto a un amico qualche giorno fa – un vecchio e caro amico, ex collega, che oggi mi demonizza dando credito alle bugie sparse su di me su questi temi – l’onestà, la precisione e la serietà intellettuale sono le armi più potenti a disposizione di chi si occupa di queste cose. Sono qualità che vanno salvaguardate ad ogni costo. Distinguono chi dice la verità dal fanatico ideologizzato. Sono addolorato per l’ignobile campagna mediatica imbastita contro di me, ma sono orgoglioso di essere stato fedele a questi valori in un momento in cui altri funzionari hanno avuto la tentazione di deviare da essi. Spero vivamente che adesso sia possibile mettere da parte gli scontri interni per concentrarci sul nostro vero compito: capire cosa diavolo è successo a Wuhan.

6) Conclusioni

Mi rendo conto che l’esposizione dettagliata e documentata delle lotte che si sono tenute all’interno del Dipartimento di Stato possa risultare un po’ noiosa. Di certo si discosta dalla narrazione moralistica che preferisce rappresentare eroi coraggiosi impegnati a combattere, in nome della giustizia, contro i malvagi e la corruzione all’interno delle istituzioni. Non è nemmeno in grado di sollecitare sproloqui che provochino indignazione: cose modeste come la “verità” mal si adattano a narrazioni sexy, condite di inganni e cospirazioni.

Eppure questi sono i fatti, verificabili documentalmente, e registrano le posizioni da me assunte in quel frangente. Se tutto questo è poco interessante per te che leggi, evidentemente hai davanti la lettera sbagliata e mi scuso per averti fatto perdere tempo.

In caso contrario, vuol dire che la realtà dei fatti per te è importante, per cui ti ringrazio per avermi prestato attenzione.

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Sahara: contro Ghali nuove denunce dai media spagnoli

I media spagnoli hanno pubblicato nuove denunce che riguardano il caso di Brahim Ghali, il leader del Fronte Polisario attualmente ricoverato in un ospedale iberico. L’ultima, come riporta il Nuovo Giornale Nazionale, è stata pubblicata dal giornale “La Razon” e riguarda Khadijatou Mahmoud la quale da undici anni, indiversi forum internazionali, denuncia le violenze subite. La donna afferma di averlo conosciuto quando era ambasciatore del gruppo in Algeria. La donna è nata nel luglio 1991 nei campi di Tindouf, in Algeria, e dal 1996 partecipa al programma “Vacanze in Pace”. È tornata nei campi per visitare la sua famiglia biologica, cogliendo l’occasione, di sfuggita, di lavorare come traduttrice per le ONG. Tutto è iniziato all’età di 18 anni e nonostante si fosse recata da un medico la madre le ha consigliato di non denunciare l’accaduto. Solo una volta tornata in Spagna, ha avuto il coraggio di denunciarlo nel 2013. Attualmente Khadijatou gode dello status di apolide, anche se vive con i suoi genitori adottivi spagnoli. Questa situazione, dichiara, ha rappresentato un ostacolo in tribunale, perché i fatti sono avvenuti all’estero e la pubblica accusa spagnola ha finito per respingere la sua denuncia nel 2018. Khadijatou spera che dopo il movimento #MeToo la sua futura denuncia venga accettata.