Modern Diplomacy, autorevole intervista di respiro internazionale, ha recentemente pubblicato un articolo dal titolo “Perché è necessario aumentare la pressione su Haftar?”
Secondo gli autori, il generale Khalifa Haftar, uno dei più importanti leader militari della Libia, è attualmente il principale ostacolo al processo di pacificazione. Il ragionamento fa leva su di una circostanza molto precisa, ovvero l’accusa di corruzione e crimini di guerra che pende sulla sua testa.
“Sebbene Haftar sia stato ufficialmente nominato comandante dell’Esercito Nazionale Libico dal presidente della Camera dei Rappresentanti (cosiddetto Parlamento di Tobruk), Aguila Saleh, da diverso tempo ha smesso di obbedire ai suoi ordini, preferendo perseguire un propria linea di condotta, spesso in contraddizione con gli accordi raggiunti tra l’est e l’ovest del paese. La riprova più eclatante di quanto affermato e dell’atteggiamento aggressivo e indisponibile ai compromessi di Haftar resta l’offensiva lanciata nel 2019 contro Tripoli. Le sue ambizioni politiche sono tra le principali cause del prolungarsi del conflitto in Libia”. Così su Modern Diplomacy.
Quale potrà essere il futuro è nuovamente diventato un tema di grande attualità. Le gravi tensioni che viva in questa fase l’Europa orientale sollevano preoccupazioni e rischiano di compromettere l’approvvigionamenti energetico del Vecchio Continente.
Di conseguenza i paesi mediterranei fornitori di gas, Algeria e Libia, stanno assumendo un’importanza sempre più decisiva per l’Europa. Ma mentre l’Algeria presenta un quadro politico sostanzialmente stabile, l’ormai decennale guerra civile in cui versa la Libia ha reso insicure le forniture di gas che da questo paese, attraverso il Greenstream, giungono in Italia.
Stabilizzare la Libia è diventato, quindi, un obiettivo improcrastinabile per l’Europa, ma l’UE sembra avere scarsi strumenti per influenzare la situazione. Lo stesso Haftar, principale elemento di destabilizzazione, appare insensibile alle sollecitazioni di Bruxelles.
Per risolvere questa difficoltà, l’unica strada perseguibile è gravare Haftar, il suo braccio destro il generale Kheiri al Tamimi e il loro entourage con sanzioni economiche personali. Gli Stati Uniti lo stanno già facendo. Nel 2020, infatti, il Dipartimento del Tesoro americano ha imposto sanzioni economiche contro Haftar, bloccando fondi, merci e servizi destinati a lui e ai suoi alleati.
Non solo. In questi giorni i tribunali USA si apprestano a processare Haftar per crimini di guerra e, siccome lui e i suoi figli sono cittadini americani e dispongono ancora di proprietà e legami commerciali negli Stati Uniti, Washington è in condizione di utilizzare tutto questo come strumento di pressione per condizionarne i comportamenti.
La timidezza dei paesi UE nei confronti di Haftar appare a questo punto inspiegabile, a meno di inconfessabili legami d’affari esistenti con lui e i suoi collaboratori più stretti. Le circostanze però, a questo punto, impongono un’accelerazione in questa direzione, per non trovarsi spiazzati dall’iniziativa messa in campo dagli Stati Uniti.
Per il mantenimento del suo potere soprattutto militare, Haftar dipende dalle esportazioni illegali di petrolio, venduto attraverso varie società di intermediazione con sede legale negli Emirati Arabi Uniti. Proprio per questa ragione Haftar è poco propenso a favorire un processo di pacificazione della Libia volto al ripristino della integrità territoriale e statale del paese. Ciò, infatti, lo priverebbe delle sue principali fonti di reddito.
E’ interessante notare come Washington, tra le varie sanzioni, non ne abbia imposte alcune specifiche sul commercio di petrolio. Potrebbe farlo l’Unione Europea. Sarebbe l’unico modo per costringere “la volpe del deserto” a favorire il processo di riconciliazione nazionale in Libia.
Vincenzo Mollo